Varese: città di poveri

Un bambino su venti non può permettersi un pasto proteico al giorno e due paia di scarpe l’anno

– Ormai è sotto gli occhi di tutti, non c’è bisogno di grandi analisti o economisti per fare i calcoli. Si torna indietro nel tempo, mentre la povertà avanza in silenzio anche a Varese. Storie di disoccupati e di anziani che faticano ad arrivare a fine mese. Storie di miseria, di povertà culturale, di solitudine.
Storie ed esperienze opposte destinate ad incontrarsi. Raccontate, o semplicemente condivise, giorno dopo giorno, da decine di varesini alle suore e ai volontari delle ai punti di raccolta gestiti dai volontari degli , dei e della . E sono proprio questi “angeli” che cercano di prendersi cura di loro. La crisi non ha fatto sconti a nessuno e sono diventati troppi per non occuparsene con politiche di assistenza adeguate. Troppi per non accorgersi che in molti ormai vivono in strada, frequentano mense, dormitori o vivono in auto. Spesso non chiedono aiuto, né si rivolgono ai servizi sociali, per vergogna.

È salito del 33 per cento il numero delle persone costrette a rivolgersi alla Caritas. Nono solo: il 12,5% dei varesini, secondo dati accertati, vive solo grazie all’assistenza sociale, con un rischio di povertà che si spinge quasi fino a un quarto della popolazione totale. La povertà non è solo assenza di reddito ma soprattutto mancanza di diritti. Sono 3,4 milioni, secondo l’Istat, gli italiani che vivono in povertà assoluta. Il reddito della popolazione è

tornato ai livelli del 1986. «La carità non basta». Questo è quanto i parroci varesini continuano a ripetere in tema di emergenza povertà.
Il problema dei senzatetto a Varese è ben presente e lontano dall’essere risolto, ma i clochard non sono gli unici ad avere bisogno di aiuto. «Ogni parrocchia ha il suo gruppetto di parrocchiani in difficoltà che aiuta – ripetono ormai da mesi – Si tratta di anziani soli e che a stento arrivano a fine mese, madri disoccupate single, genitori senza lavoro che si disperano per riuscire a garantire un pasto ai propri figli. Insomma, l’emergenza povertà è ormai ovunque. La soluzione sta in un cambio delle politiche sociali e assistenziali».
Politiche sociali e assistenziali che, secondo – responsabile decanale della Caritas varesina -, devono partire dal tema della casa. «La priorità è quella di trovare nuove forme di accoglienza temporanea, come avviene nell’housing sociale, per accogliere i nuclei familiari sfrattati e in attesa di collocazione all’interno di alloggi popolari. Negli ultimi mesi, gli sfratti esecutivi sono cresciuti in modo preoccupante – spiega Don Marco – È necessario che enti pubblici, privati e associazioni si siedano attorno a uno stesso tavolo per impostare un piano integrato che vada in questa direzione».

C’è poi un altro delicato tema. Un bambino su venti non può permettersi due paia di scarpe l’anno e un pasto proteico al giorno. I ragazzini varesini sono sempre più poveri.«All’interno delle scuole ci sono sempre più bambini che vivono una situazione di povertà in famiglia: tanto da non potersi permettere non solo il materiale scolastico, ma anche una cena calda in tavola – commenta
, volontaria alla mensa delle suore della Riparazione di via Bernardino Luini e da anni insegnante e responsabile in alcuni plessi scolastici della provincia – Mi è capitato più volte di vedere alcuni miei alunni in fila dalle suore per ritirare il pacchettino dei generi alimentari». La scuola può fare tanto per aiutare questi ragazzini a non vivere l’esclusione. «Se queste situazioni vengono segnalate, da parte degli insegnati c’è sempre la massima attenzione a attivare dei processi di inclusione non di discriminazione. Va considerato che questi bambini banalmente, ma per loro non è affatto banale, non possono permettersi le festone di compleanno con gli amici». Il vero problema non sono i soldi che da soli non creano sviluppo. La loro mancanza è diventata una scusa per non sentire il grido dei poveri e la sofferenza di chi ha perso la dignità di portare a casa il pane perché ha perso il lavoro.