Morì in pronto soccorso. Medico finisce a processo

Luino - Fatma Jejili, residente a Cittiglio, quel 15 aprile 2014 fu lasciata in sala d’attesa per cinque ore

Muore per un’embolia polmonare dopo aver atteso cinque ore al pronto soccorso che qualcuno la visitasse: a processo la dottoressa che quel giorno la ebbe in cura. , 34 anni, tunisina residente a Cittiglio, è spirata il 15 aprile 2014 all’ospedale di Luino.
Giovedì prossimo si aprirà il processo a carico del medico che avrebbe sottovalutato la situazione lasciandola lì ad aspettare per cinque ore visto che aveva un codice verde. La donna, invece, aveva un embolia polmonare in corso: tossiva,

non riusciva a respirare. Il marito che l’aveva accompagnata, vedendo la moglie in quelle condizioni, sollecitò un po’ d’attenzione per la moglie rivolgendosi a un’infermiera del Triage. Gli fu risposto che la donna non respirava perché era agitata, gli fu detto di calmare la moglie e calmarsi a sua volta. Fatma è rimasta lì, ad aspettare, cercando di non farsi prendere dall’ansia e cercando di respirare. Sino alla morte. Il marito, assistito dall’avvocato , ha presentato denuncia dopo l’accaduto. Il pubblico ministero , che ha coordinato le indagini, ha acquisito documentazione medica e testimonianze. E incaricato un perito di analizzare l’accaduto. Chiusa l’indagine ha chiesto, e ottenuto, il rinvio a giudizio della dottoressa che quel giorno era in turno al pronto soccorso per omicidio colposo. Una colpa medica, dunque, per la Procura, è ciò che ha causato il decesso di Fatma. Il 19 maggio, dunque, il processo si aprirà entrando immediatamente nel vivo: sul banco dei testimoni saranno ascoltati i periti di accusa, difesa e parte civile. Fatma due giorni prima di rivolgersi al pronto soccorso si era fatta visitare dal suo medico curante. Lamentava tosse secca e difficoltà respiratorie. Le fu consigliato uno sciroppo. Dallo stesso medico la donna tornò il giorno successivo spiegando che la situazione era peggiorata: le furono prescritti degli antibiotici. Il giorno del decesso la donna era così provata da non riuscire nemmeno a fare i mestieri in casa e il marito l’ha subito accompagnato in pronto soccorso. Al Triage furono spiegati i sintomi accusati dalla trentaquattrenne: le fu assegnato il codice verde, quello di minor gravità. L’embolo, secondo l’esito dell’esame autoptico, partito da una gamba, ebbe tutto il tempo di arrivare al cuore finendo per bloccarsi nei polmoni. Causando la morte di Fatma. Il punto ora è stabilire se un intervento più tempestivo (cinque ore d’attesa sono un lasso temporale considerevole) e una diagnosi precisa sin dall’arrivo al pronto soccorso della donna avrebbe potuto salvarle vita. Ed è questo che il processo dovrà stabilire.