«Caso Macchi, mai depistaggi o pressioni: difendemmo don Antonio dai sospetti»

Il mondo vicino a Comunione e Liberazione ribatte alla ricostruzione dell’ex capo della mobile Paolillo. «Preconcetti su Costabile, chiedevamo si seguissero altre piste. Più rispetto per le persone, anche oggi»

Pressioni e depistaggi per ostacolare l’inchiesta su? I “big” di Comunione e Liberazione dell’epoca ricordano una storia diversa. «Se ci fu una difesa, fu nei confronti di don, contro cui si era creato un pesante clima di sospetto». Già nei giorni scorsi il punto di riferimento politico del movimento di Comunione e Liberazione di oggi, il presidente del Consiglio regionale aveva parlato apertamente di «indagini condotte in modo improprio, pregiudizievole e talvolta fantasioso». Ma dopo la ricostruzione che fa il capo della squadra mobile di Varese dell’epoca, , ricordando i silenzi, la chiusura “a riccio” della comunità e le pressioni politiche, il mondo vicino a Cl non ci sta e racconta la propria versione della storia.

«Sono affermazioni di cui si assume tutte le responsabilità» premett, che nel 1987 era deputato, e fu tra i firmatari dell’interrogazione parlamentare «sulla conduzione dell’istruttoria penale concernente l’omicidio di Lidia Macchi», presentata come primo firmatario dal collega bustocco . «Si riferiva più alla vicenda di don Antonio Costabile e del pesante interrogatorio a cui fu sottoposto, come anche il prevosto dell’epoca monsignor Pezzoni, più che alle indagini in generale – racconta Portatadino – La lamentela semmai era che non avessero seguito altre piste,

quella del balordo o del drogato, qualunque esso sia. Io ricordo che la posizione di Abate era molto convinta e decisa su don Antonio Costabile. Forse anche un po’ preconcetta».
Ecco che «più che di una posizione di chiusura» nei confronti degli inquirenti, Portatadino pensa che «si trattasse forse di una difesa nei confronti di don Antonio, nei confronti del quale c’era qualche pregiudizio». Ora però, 29 anni dopo, l’onorevole afferma: «Tutti ci aspettiamo chiarezza e verità, ma anche più rispetto per le persone coinvolte, a cominciare dalla famiglia Macchi». Rispetto anche nei confronti di Cl? «Il fatto che ci fosse una sigla da mettere in prima pagina aiutava a dare “colore” alla vicenda, più di uno sconosciuto. Un bersaglio facile? Non credo, più che altro una semplificazione. Ma se è comprensibile che queste semplificazioni le facciano i giornalisti, non gli inquirenti, che devono tenere conto di tutti i fattori. E sarebbe auspicabile che non ci si ricascasse anche adesso». Anche l’avvocato, già sindaco di Varese, nell’87 consigliere regionale di riferimento dell’ambiente di Cl, esclude che ci possa essere stata una volontà di ostacolare le indagini: «A me non sembra proprio ci siano state chiusure e pressioni. Se fosse così, si facciano nomi e cognomi, perché con i “dico” e “non dico” non si va da nessuna parte. Anche perché credo fosse interesse di tutti, allora come oggi, cercare di scoprire chi fosse il colpevole».

Quel che Gibilisco ricorda è invece il fatto che fu «attaccato subito il movimento come se fosse chissà che cosa» e che il clima pesante c’era, «sì, ma soprattutto nei confronti di don Antonio Costabile. Sembrava che tutti i sospetti fossero appuntati sulla figura di don Antonio. E se ricordo una difesa, fu quella della Chiesa diocesana nei confronti del prete. Più che giusta, anche perché solo recentemente è stato scagionato. Dopo ben 28 anni di sospetti». Così quella che può essere apparsa ad alcuni come una “chiusura a riccio” dell’ambiente, in realtà potrebbe stata una sorta di reazione «in difesa del don Antonio, credo da parte di tutti. Era uno dell’oratorio, seguiva i nostri scout». Di pressioni politiche invece a Gibilisco non ne vengono in mente: «Personalmente, l’unica cosa che ricordo di quella vicenda fu una telefonata preoccupata in piena notte dalla moglie del professor , che era stato trattenuto in questura e non era ancora tornato a casa».