Così il pediatra condannato pianificava abusi sui bimbi

Rese note le motivazioni della sentenza dopo la condanna a 14 anni. Il gup: «Violenze sistematiche approfittando della sua professione»

Il pediatra milanese di 55 anni, originario di Busto Arsizio, che nel giugno scorso è stato condannato a 14 anni di carcere per presunti abusi sessuali su alcuni bambini in cura nel suo studio «ha lucidamente organizzato e strutturato la sua vita professionale con il fine di soddisfare il suo innaturale desiderio sessuale».
Lo scrive il gup di Milano nelle motivazioni della sentenza, sottolineando che il medico «proprio perché ha una formazione scientifica specialistica, era e doveva essere perfettamente consapevole del male infinito arrecato alle sue piccole vittime».

Il pediatra avrebbe abusato di 11 bambini, tutti minori di 14 anni e uno anche di appena 2 anni, tra il 2003 e il 2014. Era stato arrestato l’anno scorso per una violenza sessuale subita da un minorenne e dalle indagini, coordinate dal pm, erano emersi altri abusi, che il medico spesso filmava.
Secondo il gup Gennari, che lo aveva condannato anche a 71 mila euro di multa, il pediatra «non è il pedofilo che in circostanze eccezionali e contingenti cede alla sua pulsione» ma, al contrario, avrebbe commesso abusi sistematici approfittando della propria professione. Il medico infatti si descriveva «in maniera saccente come uno dei massimi esperti nella psicoterapia dei minori, tanto da essere addirittura una figura di rilievo internazionale, nonché professore di una non meglio specificata università».

Il gup definisce quindi come «impressionante» la «quantità e la qualità di ciò che è stato sequestrato» durante le perquisizioni, tra immagini etichettate in maniera meticolosa tanto che «è stato possibile risalire all’identità dei minori proprio grazie alla curata e ossessiva opera di catalogazione fatta dall’imputato» e strumenti utili a soddisfare le sue pulsioni. I video sequestrati, infine, «pongono una pietra tombale» sulla natura degli incontri. «Non si tratta di applicare una pena esemplare per soddisfare gli appetiti dell’opinione pubblica – argomenta il giudice nelle motivazioni della sentenza – ma di collocare nella corretta scala di gravità oggettiva e soggettiva (inevitabilmente elevata) gli episodi per cui si procede».