«Io, campagnolo che guarda il mondo da un’astronave»

Domani, alle 16, Max Pezzali sarà ospite della Casa del Disco: il re del pop italiano presenta il suo nuovo album di inediti “Astronave Max”

Arriva il re del pop italiano: Max Pezzali porta l’“Astronave Max” a Varese. Domani, alle 16, arriverà alla Casa del Disco di piazza Podestà col suo nuovo album di inediti uscito il 1° giugno e volato immediatamente sul podio delle vendite I-tunes, mentre le radio hanno premiato i primi due singoli “È venerdì” e “Sopravviverai”. Due anni fa in città l’accolse una folla oceanica di fan ed ora il ritorno del cantante è attesissimo. Pezzali, a 47 anni, vede il mondo in modo diverso e lo racconta con le sue canzoni, che sono “istantanee”, in un album pop, con suoli elettronici e british rock. Brani eterogenei per non annoiarsi, ritrovano «la varietà che caratterizzava i primi album degli 883».

Mi ricordo che la location era piccolina, ma ben organizzata e affollatissima. E poi il calore della gente. Anche quella volta era una domenica, giorno che crea maggiore intimità. Il centro della città è meno coinvolto dall’attività quotidiana, un po’ più rilassato e si ha la possibilità di vedersi da vicino.

Guardando sempre Milano col cannocchiale. Sei abbastanza vicino da averla a portata di mano, ma, in realtà, sei abbastanza distante da vederla in prospettiva.
Ti senti il cugino di campagna dei milanesi, a volte non ti integri o hai un po’ di complesso di inferiorità. In provincia tutto arriva un po’ in ritardo in fatto di tendenze e mode. Sono cresciuto guardando Milano che è a 30 km, ma mentalmente sono 30mila.

No, anzi. Semplicemente credo che staccarsi dalla Terra, mantenendo un’orbita geostazionaria, permetta di vederla meglio, nella giusta prospettiva. Quando sei troppo dentro le cose ti sembra tutto insormontabile. Anche l’Everest visto dall’alto, in relazione col resto, è relativo. Sarà l’effetto dell’età che avanza, anche se non porta per forza saggezza, ma sicuramente dà un punto di vista prospetticamente migliore che a vent’anni.

Non guardo mai troppo avanti. Non è dato sapere cosa ci riservi la vita, perciò preferisco vivere alla giornata. In questo modo sono andato avanti per gli ultimi 23 anni, quelli professionali. È uno degli stratagemmi fondamentali per durare il più possibile in questo mondo, senza porti il problema del futuro. Ogni album va vissuto come se fosse l’ultimo, quello in cui giocarti tutto, facendo qualcosa che ti soddisfi oggi. Questo è un settore nel quale non sai cosa possa succedere tra 6 mesi con un’evoluzione vorticosa, incertezza e precarietà forti. Il breve termine e l’unico metro di misura del tempo.

Prima di salire sul palco, faccio il segno della croce col microfono. Non è una faccenda religiosa, ma lo faccio sempre da quando ho cominciato.

Sulla mia moto mi si dice che il sellino è davvero scomodo, perciò, dovendo scegliere, porterei Irene Grandi. Lei è talmente rock’n’roll che la prenderebbe sportivamente.

Le canzoni, nel mio caso, hanno sempre base autobiografica. Per me è più facile raccontare quello che ho vicino. Ovviamente i brani non sono solo quello. Devi partire da un’esperienza personale per renderla universale di metterti nei panni di chi ascolterà. Tutto va messo in relazione con quanto può accadere agli altri, altrimenti non è più una canzone, ma una seduta di psicoanalisi, un soliloquio.

Mio figlio si diverte con me. Sono particolare visto il lavoro che faccio, stravagante dal suo punto di vista. Papà canta, si diverte, fa foto, firma autografi: lo vede come un immenso gioco.

Generalmente credo di essere come tutti, d’avere pregi e difetti. Credo che tutti noi non rispecchiamo mai le altissime aspettative degli altri, ma penso sia altrettanto naturale che ognuno – non essendo Superman – abbia momenti sì e momenti no. L’importante è cercare di limitare l’effetto dei momenti no.