L’hotel stazione che non chiude E accoglie i disperati

Il Grand Hotel Stazione non chiude mai, nemmeno d’estate. Figuriamoci in quella del 2014, in cui caldo e tempo stabile sono un sogno ormai riposto nel cassetto.

Il rammarico per i regali bagnati che scendono dal cielo ha diverse gradazioni: le bizze del meteo possono essere un argomento da bar come un qualcosa che fa la differenza tra il vivere, il sopravvivere o persino il morire. E al Grand Hotel Stazione lo sanno bene.

Un giornalista, un fotografo e quattro Angeli Urbani: no, non è l’inizio di una barzelletta. Solo quello di una tarda serata agostana in cui si cerca di capire l’altra faccia della Varese notturna, quella lontana dalle comodità, dal focolare cui ogni uomo aspira, quella mal celata più che nascosta in questi ultimi tempi di emergenza conclamata.

Bastano due torce per aprire gli occhi, basta varcare i binari e dirigersi verso il buio degli alberi e quello degli anfratti della stazione delle Ferrovie dello Stato.

Un sentiero porta a un giaciglio pieno di carte, coperte, rifiuti, recentemente abitato ma ancora vuoto: sono le 23.30, forse è ancora troppo presto, forse l’inquilino è in giro per la città, chissà a far cosa e con che animo. Non ci si può fare nulla: domande e dubbi ti assalgono appena entri al Grand Hotel e non ti lasciano più, nemmeno quando esci. Poco più in là trovi la prima stanza occupata, un sottoscala dove dimora Dimitru, rumeno di mezz’età: dorme, non è spaventato, è una vecchia conoscenza degli Angeli, basta quindi un saluto e due chiacchiere per sincerarsi che stia bene. Stessa scena con un ragazzo africano appena girato l’angolo: la luce della pila illumina il suo volto, il suo riparo fatto di cemento rosso, la sua normalità che di normale non ha nulla se non la cadenza con cui si ripete ogni notte.

Il Grand Hotel Stazione ha anche camere “privilegiate” da dove non si vedono né stelle né nuvole, ma solo il plumbeo soffitto di un treno in sosta, uno di quei convogli che al mattino porteranno migliaia di pendolari sul posto di lavoro.

Una serratura non chiusa è il modo più facile di salirci sopra, nonché un tacito accordo di pietà che raddoppia la funzionalità: di giorno treno, di notte dormitorio.

Percorrendone avanti e indietro i corridoi – come controllori alla ricerca di un biglietto – si trovano quattro persone.

Niente li desta dal loro torpore, favorito dal tepore e dall’aria viziata: né l’abbaglio delle torce, né i passi, né le chiacchiere che raccontano chi siano e da dove vengano.

Ognuno rimane sdraiato sulla sua fila di sedili blu, ognuno ha una storia ben conosciuta dagli Angeli Urbani che li ritrovano ad ogni ronda: nel Grand Hotel Stazione è facile arrivarci e difficile andarsene.

I quattro dormienti sono tutti ospiti invernali dell’ex Chalet Martinelli – sede dei volontari – che dispone di una ventina di posti letto per combattere l’emergenza freddo. Sono volti noti della questua alimentare e del vestiario. Ma d’estate è questa la loro casa. Si scende e si fa un altro giro fra i binari. Due ragazzi marocchini sui 40 anni hanno voglia di parlare: non è chiaro dove dormiranno stanotte, però si fidano degli Angeli e del loro aiuto.

C’è Eddy che dopo averti salutato si porta una mano sul cuore, la musica che esce dal cellulare ed un cartone di vino rosso. Vicino a lui il suo amico alto e magro con un passato di lavori in Emilia Romagna ed un presente indecifrabile nella nostra città. È ben informato, potrebbe tenere una lezione su permessi di soggiorno, cittadinanza agli stranieri e sanatorie.

Il tour si conclude qui. Ma dal Grand Hotel te ne puoi andare col fisico, mai davvero con la mente.

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