«Solidarietà difficile da spiegare»

Nelle zone del sisma - Mauro è arrivato ad Amatrice con un camper ricco di generi alimentari e doni

Amatrice tiene duro anche grazie al camper e alla solidarietà di Varese.
Con un’idea diventata virale sono arrivati a buon fine aiuti concreti e rapidi per una famiglia senza casa e per chi ha bisogno di generi di prima necessità.
Tantissimi i varesini che si sono affrettati a riempire i carrelli per aiutare la popolazione colpita dal sisma del 24 agosto.
«È un’esperienza che si è conclusa nel migliore dei modi» spiega Mauro che avevamo lasciato giovedì

scorso col suo camper, carico in ogni dove, pronto a partire verso i luoghi del terremoto.
«Sono arrivato fino a dove si blocca la strada, alle porte di Amatrice. Da lì, al massimo a 4 chilometri, si vedeva un paese che non c‘era più. Dal costone emergeva una macchia bianca sulla quale svettava quella casa rossa che abbiamo imparato a riconoscere dalla televisione. Non si distinguevano più i profili delle abitazioni».
E proprio in quel punto di osservazione nei pressi di una fattoria, lontano dal centro storico, è stato parcheggiato il suo mezzo che resterà a disposizione di una famiglia.
«Con l’intervento del presidente della Camera di Commercio di Rieti, Vincenzo Regnini, ci siamo avvicinati il più possibile, sistemando il camper nell’aia dell’azienda Agricola Bio Casale Nibbi, per ospitare loro e/o chi dovesse averne più bisogno in questi immediati frangenti».
Adesso cibo e vestiario sono sufficienti e sulla scorta di questo esempio «sono arrivati appelli anche da altri paesi limitrofi, come da Accumoli, grazie alla proloco, con la richiesta di altri camper o roulotte».
Le poche aziende rimaste in piedi sono quelle agricole, perchè non sorgevano nel centro storico.
Le famiglie di agricoltori non possono, infatti, «andare nelle tendopoli o nelle eventuali new town, ma devono rimanere a ridosso di poderi e allevamenti. Devono rimanere lì, a 1000 metri di altitudine, a preservare l’attività economica e a custodire animali in strutture fortemente a rischio. Sotto lo sguardo vigile e struggente di nonna Amelia, che dopo 90 primavere non aveva ancora visto un inverno difficile come sarà il prossimo». La nipote Amelia Nibbi è determinata a continuare: «distribuiva prodotti a ristoranti, bar ed esercizi che oggi non esistono più, ma ha la caparbietà di non allontanarsi nonostante i disagi e la fatica, rimboccandosi le maniche per andare avanti».
In questa avventura si sono dimostrati utili anche i social network. «In alcuni casi hanno creato un rapporto diretto tra chi ha bisogno e chi vuol dare. È stato proprio grazie a una segnalazione che è stata individuata l’azienda agricola».
Oltre al camper è stato consegnato anche tutto il carico donato da Varese.
«È stato scaricato nel centro di raccolta di Rieti, da dove, di giorno in giorno, viene distribuito alle frazioni e paesini colpiti dal terremoto».
I diversi quintali di alimenti, vestiario, coperte, prodotti per l’igiene personale sono stati consegnati al centro operativo nel Palazzo dello Sport. «Stefano Veglianti della Consulta Pastorale di Rieti ha coordinato una vera e propria catena umana di 20 persone per stipare tutto. È un’organizzazione ordinata che ha coinvolto anche moltissimi giovani, universitari e non. Si sono tutti stupiti della grande generosità arrivata da Varese».
Dei momenti passati laggiù quello che impressiona maggiormente è «l’enorme collaborazione e la mobilitazione dei volontari della zona. Lo spiegamento imponente delle forze dell’ordine e di soccorso». I 57 km tra Rieti e Amatrice erano una lunga fila di mezzi di soccorso, esercito, vigili del fuoco, ambulanze, ruspe e scavatori.
«E poi c’è lo choc della popolazione. La famiglia che abbiamo aiutato non ha perso parenti stretti, ma contava sulle dita gli amici e conoscenti scomparsi. Là si conoscevano tutti, come se si trattasse di un paesino della nostra provincia».
Ciò che dai media non si percepisce fino in fondo «è il contatto umano che si sviluppa in un attimo. Ho incontrato Stefano in un parcheggio ed era come se ci conoscessimo da 10 anni. Quando sono tornato mi ha chiamato per sincerarsi che fosse andato tutto bene».
In tanti continuano a lavorare 24 ore su 24 «senza sosta. Si stabilisce una solidarietà immediata che è difficile da descrivere, se non la si prova».