“Il mio lieto fine” «In carcere si cambia»

L’ispirazione parte da un fatto di cronaca vera, da un delitto di dodici anni fa a Leno, in provincia di Brescia. Ma la tesi di laurea di Matteo Belcastro, ventitreenne regista milanese studente dell’istituto cinematografico Michelangelo Antonioni di Busto Arsizio va oltre.

Non è il portare sugli schermi un dolore che non può essere sopito, la tragedia della quattordicenne Desirée Piovanelli, assassinata da tre adolescenti e un adulto in un casolare abbandonato in cui l’avevano trascinata con l’inganno. Ma è l’ispirarsi liberamente a un fatto accaduto, trasportandolo nel racconto e nella fiction, per narrare un’altra storia, quella di un percorso psicologico di un ragazzo diventato uomo che ripercorre un’atrocità commessa. Un percorso che diventa un cortometraggio.

«L’idea – spiega Matteo Belcastro, che nella sceneggiatura è stato aiutato da Sabina Andrisano, che è anche aiuto regista – è nata da un documentario sul carcere Beccaria, dove sono stato volontario e dove ho conosciuto anche uno dei ragazzi coinvolti nel delitto di Leno». Che diventa spunto, ma non storia centrale. «Quello che ho fatto, con la mia tesi di laurea – prosegue infatti Matteo –, modifica la cronaca in sé e parla di una persona e delle cose che ha fatto dopo, arrivando al suo “lieto fine”».

“Il mio lieto fine” è infatti il titolo dato al cortometraggio. Che non pone giudizi o moralismi, ma racconta, partendo da qualcosa che ha comunque colpito il regista, al punto da vederci lo spunto per un lavoro cinematografico a coronamento di tre anni di studi all’istituto Antonioni.

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