La Svizzera esclude gli italiani. Guai per gli imprenditori di confine

La modifica alla legge toglierà alle aziende edili gli appalti inferiori agli 8,7 milioni di franchi

Dalla Svizzera arriva un nuovo vincolo che, di fatto, ostacolerà ancora una volta le imprese italiane che operano in territorio elvetico. Dopo la Legge Imprese Artigiane, la chiusura di alcuni valichi ora infatti il Gran Consiglio del Canton Ticino ha approvato una modifica alla Legge sulle commesse pubbliche, arrivata sui banchi dei parlamentari cantonali dopo due anni di lavori e destinata a cambiare radicalmente gli attuali equilibri nell’assegnazione degli appalti di Cantone, comuni ed enti sussidiati.

Se infatti sino ad oggi anche le imprese italiane, in particolare quelle di confine, hanno potuto concorrere al pari di quelle elvetiche per aggiudicarsi le commesse, la modifica di legge ne prevede l’esclusione, almeno per appalti nel settore dell’edilizia di valore inferiore agli 8,7 milioni di franchi (circa il 90% del totale).

Una decisione che, stando alle dichiarazioni stesse dei parlamentari cantonali, vuole essere un primo passo nella direzione dell’iniziativa popolare “Prima i nostri” votata nel settembre 2016, per tentare di rispondere ad una congiuntura economica difficile anche al di là del confine.

«Una decisione che ci lascia quantomeno sorpresi – commenta Davide Galli, presidente di Confartigianato Imprese Varese –. Crediamo che l’azione del Canton Ticino rischi di sortire effetti negativi, alla lunga, sia sugli enti pubblici che sui consumatori. Ragiono da imprenditore e dico che la concorrenza è garanzia di qualità e professionalità, l’assenza di concorrenza può invece indurre le imprese a contrarre costi ed efficacia». Un rischio, sottolinea Galli «che non vorremmo veder correre ai nostri concittadini e che speriamo non arrivino a correre neppure quelli residenti in Canton Ticino».

E per quanto riguarda le conseguenze sul fronte italiano, Galli suggerisce il “modello-Varese”: «No alle discriminazioni generalizzate per nazionalizzazione o localizzazione o anche per dimensione di impresa, sì invece a requisiti anche selettivi, non solo per prezzo ma per qualità, garanzia tecnica e professionalità e poi ancora per continuità ed operativa prossimità territoriale dell’impresa. Mi aspetto, anzi sono convinto, che anche in Italia inizieremo a operare in questa direzione, affinché si possa lavorare in regime di concorrenza ma con regole ben chiare a garanzia del bene pubblico». Il presidente Galli ha già firmato una lettera-proposta in tal senso che nelle prossime ore verrà inviata a tutti i sindaci della provincia di Varese, ai rappresentanti varesini in Regione Lombardia e ai rappresentanti in Parlamento. Le risposte che arriveranno verranno puntualmente rese note.