L’accordo Italia-Svizzera ci fa tremare “Sacrificheranno” i nostri frontalieri?

C’è il futuro degli accordi bilaterali sul tavolo della trattativa tra Roma e Berna. Pressing del Ticino per la doppia tassazione dei lavoratori varesini: si teme il salasso

– Frontalieri, rischio salasso se verrà messa in pratica l’ipotesi dello “splitting” della tassazione.
L’ipotesi è stata rivelata nei giorni scorsi dal quotidiano zurighese Neue Zurcher Zeitung, solitamente molto addentro alle vicende della Confederazione. Con l’avvicinarsi dell’accordo italo-svizzero per la tassazione sul rientro dei capitali e per l’esclusione della Svizzera dalla black-list finanziaria, sull’altro piatto della bilancia c’è anche il futuro degli accordi bilaterali per i lavoratori frontalieri, un punto su cui la politica del Canton Ticino è sempre stata particolarmente combattiva.

L’ipotesi circolata è quella di introdurre una forma di doppia imposizione, il cosiddetto “splitting”, per cui il lavoratore frontaliere (si parla di quelli che risiedono entro i 20 chilometri dal confine) pagherebbe una parte di tasse in Svizzera e una parte in Italia, come già oggi accade per chi vive oltre la soglia dei 20 chilometri.
«Se fosse così, per i frontalieri sarebbe un salasso – ammette il sindacalista Marco Molteni, segretario provinciale della Uil Frontalieri – premettendo che non abbiamo informazioni dirette e ufficiali, se non le indiscrezioni che circolano in questi giorni in particolare da parte elvetica, per ora abbiamo fatto una serie di valutazioni indicative sull’ipotesi che lo “splitting” fiscale sia suddiviso per il 70% in Svizzera e per il 30% in Italia.

È evidente che qualsiasi forma di suddivisione risulterebbe penalizzante, se pensiamo che oggi il 100% della tassazione viene applicata sulla base delle aliquote svizzere, che arrivano al massimo al 10-12% per il singolo lavoratore ma che possono scendere fino al 2-3% nel caso in cui abbia moglie e figli a carico.
Mentre domani, se venisse applicata questa nuova forma di tassazione suddivisa, su un 30% dell’imponibile, ponendo sempre che sia questo il caso, il lavoratore si troverebbe a pagare un’aliquota

di Irpef del 15, del 23 o del 27%, a seconda della fascia di reddito familiare».
I sindacati sono preoccupati: «Attendiamo di capire come stanno davvero le trattative, su cui fino ad oggi si è mantenuto uno stretto riserbo – sottolinea Molteni – purtroppo siamo consapevoli che il futuro dei frontalieri non è l’argomento principale, ma una moneta di scambio su altre partite finanziarie».
«E ogni ipotesi che circola lascia presagire che le modifiche peggioreranno la situazione attuale. Anche per i Comuni, perché se una parte di tassazione dovesse finire direttamente al ministero delle finanze non si sa quanto verrà riversato nelle casse degli enti locali». La posizione del comitato dei Comuni frontalieri, presieduta dal sindaco di Lavena Ponte Tresa Pietro Roncoroni, è sempre stata quella del mantenimento degli accordi del 1974, che sono quelli attualmente in vigore. In grado di tutelare sia i lavoratori che gli enti locali.
«Per i Comuni di frontiera – fa notare Gunnar Vincenzi, sindaco di Cantello e presidente della Provincia di Varese – i ristorni rappresentano una quota dei bilanci utile e indispensabile. Teniamo presente che non sono un regalo ma compensano la mancata tassazione dei nostri concittadini che, pur lavorando oltre frontiera, utilizzano i nostri servizi comunali, dalle scuole alle strade. Se si verificasse realmente un minor introito in termini di ristorni, per i nostri enti si aprirebbe un futuro decisamente preoccupante. È per questo che ci siamo battuti per non rivedere le percentuali».
Gli stessi frontalieri, spontaneamente, in un documento inviato alle redazioni dei giornali si chiedono «che fine hanno fatto i politici locali» che hanno sempre promesso attenzione nei loro confronti.