Videogame mondiali made in Varese: «Impresa in Italia? Si può, con le idee»

Nella villa di via Limido, ispirata ai campus americani, Ovosodo progetta il suo futuro: «Non importa essere in una metropoli, ma cosa hai da dire e proporre»

Serve un cambio di mentalità, per farcela. Senza contare su sgravi fiscali, finanziamenti, assistenzialismo. Parola di chi ce l’ha fatta per davvero.

è il fondatore, con , di . La villa che ospita questa ormai ex start up è in via Limido, a Varese. È qui che si sviluppano videogame, in un ambiente che si ispira ai campus americani: spazi relax, giardino grandissimo, chitarre e musica. Da qui l’azienda ha firmato nientemeno che con la Sony, dando alla luce “Murasaki Baby”, il primo videogioco dai diritti milionari.

Sempre da qui ha vinto il prestigioso premio . Il futuro? «Sarà più ampio di adesso, ci stiamo guardando intorno», anticipa senza svelare nulla Guarini. «Il nostro background è internazionale», spiega quando gli chiediamo di raccontare la sua storia: «Dopo anni di lavoro all’estero ho deciso di tornare in Italia. Per motivi personali, perché qui non si vive affatto male, anzi, e perché il nostro business vive di internet e informatica:».
«Ce l’abbiamo fatta senza aiuti –

prosegue – con un’idea ben realizzata, che è il nostro vero capitale, e un editore che ha creduto in noi. E da allora ci piace sviluppare tutto qui, credendo fino in fondo in quello che era semplicemente un sogno: creare videogiochi che appassionassero tutto il mondo. Quando abbiamo iniziato con il nostro studio, la tentazione di dedicarci anche alla progettazione di software per conto terzi c’è stata: sarebbe stata una via più semplice e con budget abbordabili. Ma non era nella lista delle cose che volevamo fare, così abbiamo tenuto la barra dritta e dopo un anno e mezzo abbiamo firmato un contratto importante».

«La nostra storia – dice ancora Guarini – dimostra che la coerenza e il . Vedo tanti giovani prigionieri di un retaggio di mentalità da superare: quella dell’assistenzialismo, per cui qualcuno deve fare determinate cose affinché ne succedano altre, senza mettere mai in discussione le proprie idee. Serve essere critici con se stessi, perché mettere piedi una start up ha solo il 5% delle possibilità di avere successo. Forse, sentirsi soli è proprio la scintilla che dà la forza di andare avanti, pur senza finanziamenti o sgravi». «Sì: anche se so che non è semplice in un Paese in cui le tasse sono così alte. Paradossalmente, però, da noi gli stipendi sono più bassi, a parità di capacità e di posizione, di quelli che si corrispondono a Londra». Il consiglio che dà a un giovane che voglia diventare imprenditore? «: se la propria idea ha senso, i risultati prima o poi arrivano».