Dovremmo essere uomini coraggiosi. E invece siamo solo vigliacchi

L’editoriale di Marco Tavazzi

Rispetto. Rispetto. Rispetto. Non è un errore, ho voluto ripetere tre volte questa parole perché è fondamentale per una civile convivenza all’interno di una società che voglia essere democratica e basato sul diritto.

Ovvero, quel tipo di società dalla quale ci stiamo sempre di più distaccando. Perché non siamo più in grado di essere portatori di una cultura umana e civile, come invece lo furono civiltà antiche. E meno antiche. Con i loro pregi e i loro (a volte numerosi) difetti. Ma pur sempre portatrici di un’idea di civiltà. Oggi l’Italia non ha nessuna idea di se stessa, l’Europa dei popoli, l’unica che valga veramente la pena costruire, non è stata nemmeno abbozzata, per fare posto a un enorme Leviatano figlio della burocrazia e degli interessi economici. Se questi sono i simulacri di civiltà che sappiamo a malapena abbozzare, come possiamo, noi italiani, una volta abitanti di un Paese faro della cultura occidentale, dare vita ad una vera civiltà?

Sembrerà che l’abbia presa alla lontana, ma questa lunghissima premessa serve a spiegare quale sia il problema dal quale nasce il caso di insulti razzisti rivolti alla signora Karima. Un Paese civile, e quindi forgiatore di civiltà, non avrebbe nessun problema a “governare” il fenomeno migratorio. Che significa, per quelle che sono le mie idee, regolamentare gli ingressi a quote minime, sulla base di piani dettagliati di esigenze economiche e sociali.

Impedire gli ingressi illegali e rimpatriare immediatamente chi entra quindi senza permesso, attraverso il dispiegamento di tutte le forze militari e di polizia sui confini e all’interno del nostro stesso territorio. L’accoglienza di chi entra deve essere concreta e deve trasformarsi in vera integrazione, ovvero quella che chi arriva deve osservare leggi e tradizioni del Paese ospitante che, sulla base della civile convivenza, può diventare anche il suo Paese. Accanto a tanti esempi di tentativi di prevaricazione da parte di cittadini stranieri che arrivano nella nostra terra, e dimostrano di non avere assolutamente l’intenzione di volersi integrare, abbiamo altrettanti esempi di chi invece sceglie di essere cittadini italiano. Mostrando persino più rispetto verso la cosa pubblica degli stessi italiani.

Questa è convivenza e questo è rispetto. Questo è l’esempio di Karima, che ha avuto la sfortuna, come capita a tantissime, sempre troppe, donne di scegliere il compagno sbagliato. Un uomo che non è capace di amare, ma solo di prevaricare e di fare del male alla persone che aveva promesso di amare.

Una donna coraggiosa, che ha saputo ribellarsi. Che ha avuto la forza, non scontata, di combattere e difendere la sua dignità. Quella dignità che oggi le viene nuovamente tolta dalle parole di chi, vigliaccamente, si nasconde dietro l’anonimato. Non che, se le avesse pronunciate a viso scoperto, sarebbe stato meno vigliacco.

Chi oggi la insulta, dov’era quando questa donna chiedeva aiuto? Dov’è quando decine, centinaia, migliaia di donne subiscono abusi in silenzio? Dov’è quell’essere umano con sufficiente dignità e coraggio da non girare la testa dall’altra parte? Parlavamo di civiltà. Ma noi italiani ormai non sappiamo essere portatori di una civiltà forte nei valori. E quindi ci facciamo dominare dalla pancia, dall’impotenza. E poi diventiamo vigliacchi. E insultiamo con la peggiore codardia una donna, una madre, che dovremmo invece aiutare e difendere. Una volta eravamo vere donne e veri uomini.

Una volta.