Il curato di provincia capace di grandi cose

L’editoriale di Andrea Aliverti sulla nomina di “don Mario” quale neo-Arcivescovo di Milano

Don Mario Delpini è uno di noi: vi stupirà. Nella nostra piccola grande Jerago il neo-Arcivescovo di Milano è per tutti, da sempre, “don Mario”. Terzo di sei figli, appartenente ad una delle famiglie storiche del paese, è nipote di un altro sacerdote molto legato a questa comunità, monsignor Francesco Delpini, che fu “parroco” del Duomo di Milano e vicecancelliere arcivescovile. Per quelli della generazione del sindaco di Jerago con Orago Giorgio Ginelli, don Mario è

il seminarista che riusciva ad appassionare ed educare i ragazzi dell’oratorio, e che aveva compiuto il mezzo “miracolo” (chi conosce le dinamiche di campanile dei piccoli paesi di provincia può immaginare…) di unire gli oratori di Jerago e Orago negli anni 70. Per quelli della generazione successiva, come il sottoscritto, don Mario era colui che accoglieva le classi di catechismo nelle giornate di ritiro spirituale al seminario di Venegono. Con quel suo fare sobrio, bonario e sempre amichevole che sapeva mettere a proprio agio anche i ragazzi. “Un brav’uomo”, si è definito alla sua prima uscita dopo la prestigiosa nomina, mostrando tutta l’umiltà e la modestia che lo contraddistinguono.

Perché don Mario Delpini è una persona dai modi semplici ma dalla cultura vastissima, legato alla sua famiglia e alla sua comunità dove torna ogni volta che può ma anche molto moderno e aperto, sobrio e riservato ma anche disponibile ed empatico, rigoroso nei valori ma anche pratico e ironico. È un sacerdote che unisce il profilo popolare da “curato” di provincia con la grande preparazione ed esperienza di chi è stato rettore del seminario e ha percorso tutti i passi del “cursus honorum” della gerarchia diocesana. La sua ascesa è un caso emblematico di meritocrazia che funziona, e dovrebbe far riflettere anche tutti quelli che saranno già pronti a tirargli la giacchetta. «Alcuni preti», scriveva proprio don Mario quasi vent’anni fa in uno dei suoi tanti riusciti libri, “Reverendo che maniere…”, «esercitano la loro furbizia nel conseguire scopi ai quali tengono molto, anche se c’entrano poco con il ministero loro affidato. Pensano ad esempio ad incarichi di prestigio o a legare il loro nome a basiliche sproporzionate. Prima o poi i preti furbi arrivano là dove vogliono, anche a prezzo di trascurare i servizi più abituali richiesti dall’esercizio del ministero, come visitare gli infermi, consolare gli afflitti, prendersi cura dei piccoli». Forse è anche per questo che monsignor Delpini non si sarebbe mai sognato di essere scelto come successore di un “pezzo grosso” della Chiesa come il Cardinale Scola, guida spirituale della diocesi più importante del mondo. Perché Don Mario è sempre rimasto uno di noi, e faremo fatica, già domani quando è atteso nella nostra Jerago per festeggiare il cinquantesimo di sacerdozio di don Fausto Panfili, a non rivolgerci a lui con la stessa semplicità con cui siamo sempre stati abituati. E d’altra parte, noi che lo conosciamo bene forse ci stupiremo un po’ meno degli altri delle grandi cose che potrà fare da Arcivescovo di Milano.