Ma ci si chiede… Era impossibile presidiare quel settore?

Scontri tra tifoserie nel derby Varese-Como, l’editoriale di Gabriele Galassi

Al Franco Ossola, domenica, è stato un brutto spettacolo. Sgradito, inutile, da condannare. Un teatrino fuori dal contesto di una giornata di festa: 3000 persone a Masnago per una partita ricca di storia, tradizione, rivalità sportiva; unica, in queste stagioni tra i dilettanti. Una partita che tutti meritavano di potersi godere serenamente, a partire dai bimbi della scuola calcio, costretti a spostarsi ai margini della scena invece che esserne il centro.

Noi, la sognavamo a porte aperte: questa, e ogni altra partita dentro il nostro (e ogni) stadio. Il Varese (e, lo ripetiamo, in prima persona il vicepresidente Paolo Basile) ha fatto di tutto perché si potessero ospitare i tifosi del Como: telecamere accese e sistemate, servizio di sicurezza potenziato, sopralluoghi con le forze dell’ordine. Poteva lasciar stare, dando ragione a chi pensa che la violenza, dentro uno stadio, sia inevitabile (invece è una scelta, difficile da capire: qual è il gusto di scavalcare un cancello per prendersi un sacco di botte?). Ha fatto uno sforzo, che i suoi ultras, pur provocati, avrebbero potuto onorare e difendere. Non ha colpe. E ha avuto coraggio.

Coraggio, lo stesso che ha avuto la questura: che poteva lavarsene le mani e dire “no” a priori. Ma, presa la decisione, i dettagli non possono sfuggire.

Tutto perfetto (che significa tutto previsto e gestito: vie d’accesso chiuse e presidiate, controlli quanto più minuziosi possibile) fuori dallo stadio, prima e dopo (gestire in quel modo il deflusso, alla luce di quanto accaduto dentro lo stadio, non era affatto scontato).

Ma dentro? Dove altro potevano venire a contatto i (pochi) violenti interessati soltanto a darsele, a regolare i conti ? La risposta è lampante: solo in quello spicchio tra distinti e curva sud. Ma lì (o appena sotto: cambia qualcosa?) non c’era nessuno: il perché, resta un mistero.

Mistero che paga il Varese, in soldi e turno a porte chiuse (e lo pagherà anche la Pallacanestro Varese nel derby contro Cantù). Mistero che paga chiunque speri che le cose possano cambiare, ma che finisce ancora una volta sbeffeggiato dal facile, triste e povero di pensiero «ve l’avevo detto, io».