Neologismi inventati per risparmiare sul tempo

Il post-it di Marco Dal Fior

Ci sono termini scomparsi, travolti dalla furia della tecnologia e dei ritmi di vita del terzo millennio Chi utilizza più vocaboli come “epistola”, “nequizia”, “abbacinante”? Sono spariti dal nostro lessico, così come il mangianastri e la radio a transistor dai negozi di elettronica. Parliamo e scriviamo per immagini, in un infinito zapping di discorsi che spesso non si concludono.

È la turbo società, che non ha tempo per le finezze linguistiche, lanciata com’è all’inseguimento del benessere, della felicità, del progresso e della pace. Abbiamo ridotto i tempi di attesa, viviamo in perenne affanno, abbreviamo ogni intervallo nella convinzione che più si va veloce, prima si arriva all’obiettivo.

Abbiamo accorciato anche le parole. I professori diventano “prof”; Francesca diventa “Fra”; i ragazzi diventano “raga”. Come se pronunciare “essori”, “ncesca” e via rimuovendo, fosse una insostenibile dispersione, una inutile divagazione sul tema. Parleremo, di questo passo, a codici fiscali, mutuando il nostro linguaggio da quello degli sms. Perché contrarre le parole ci regala più tempo per dirne altre. Peccato che quel tempo quasi mai venga bene impiegato.