Quella madre sia da esempio per un Paese giudice e carnefice

L’editoriale di Simona Carnaghi

«Ho sempre creduto che la verità sarebbe arrivata quando Lidia avesse voluto». C’è tutto l’amore che soltanto una madre, Paola Bettoni, può avere verso una figlia, Lidia Macchi, in queste parole. C’è quella fede che smuove le montagne e che lascia noi Filistei smarriti e pieni di invidia. Una fede che infine ha smosso anche la giustizia. Dopo 30 anni la procura generale di Milano ha chiuso le indagini su un omicidio che per Varese, è

una ferita aperta. Varese non è ancora, e speriamo non diventerà mai, una di quelle città che gode nel voyerismo mediatico. Non interessa il sangue, non interessa il sesso. C’è ancora un pudore antico, lontanissimo da altri scenari nazionali, che ha impedito che Lidia facesse la fine, ad esempio, di Sarah Scazzi e che questa vicenda venisse trascinata oltre il limitare della decenza. Paola, sempre lei, mesi fa disse qualcosa di potente: «Binda se sei stato tu confessa. E io ti perdonerò». A Stefano Binda, l’ex compagno di liceo di Lidia arrestato per lo stupro e l’omicidio della studentessa scout attenta agli altri e dalla mente libera, questa madre lascia una possibilità. «Non abbiamo mai voluto un colpevole per forza – ha detto ancora Paola – ma soltanto verità e giustizia per Lidia». E oggi abbiamo due certezze. La prima: comunque vada per tutti ci saranno sempre due verità. Quella giudiziaria e quella reale: che Binda vada a processo e venga condannato oppure che sia prosciolto. Per tutti ma non per lei: «La verità arriverà quando sarà Lidia a volerlo». E Paola sarà ancora d’esempio per un’Italia che s’improvvisa giudice e carnefice ad ogni occasione senza nulla sapere. Lei no. Lei crederà a sua figlia.