37 anni fa il sequestro De Micheli “Il dolore è ancora cocente”

VARESE «Ricordare mio padre Tullio dopo trentasette anni dal suo rapimento non cambia certo la situazione, né diminuisce un dolore che è ancora cocente». Giacomina De Micheli, 76 anni, ne aveva 40 quando il 13 febbraio 1975 suo padre, piccolo industriale titolare di una fonderia a Mornago con 17 operai, venne rapito sulla salita che da Oltrona al Lago porta a Comerio, mentre a bordo della sua Peugeot stava ritornando a casa.

Da quel giorno di lui non si seppe più nulla, il corpo non è mai stato ritrovato, nonostante l’allora procuratore capo di Varese, Maurizio Grigo, anni dopo avesse riaperto le indagini sulla base della confessione di un pentito, che indicò l’area tra Cerro Maggiore e Canegrate come il presunto luogo di sepoltura di De Micheli, probabilmente morto soffocato dalla sua dentiera durante un maltrattamento.

«Le uniche persone che dobbiamo ringraziare sono Grigo e Giovanni Pierantozzi, che riaprì l’inchiesta nel 1993 per poi processare Giuseppe Milan, basista ed ex operaio di mio padre, e Domenico Comincio, accusati di far parte della banda che sequestrò papà», ricorda Giacomina De Micheli, che all’epoca dei fatti lavorava come farmacista a Gemonio ed era legatissima al padre. «All’inizio lui, che era arrivato a Milano da Genova, città d’origine della famiglia, dove il nonno possedeva una piccola officina meccanica di precisione, entrò in società con Giovanni Borghi, ma presto vendette la sua quota e rilevò la fonderia di uno zio, a Mornago. Si era benestanti, ma non ricchi. A Comerio c’erano diverse famiglie più abbienti della nostra. Ma evidentemente il Milan aveva supposto ricchezze che non c’erano».

La richiesta dei rapitori fu di tre miliardi, una cifra esorbitante per quegli anni. «La nostra famiglia subì uno tsunami, andò in pezzi. Mia madre non volle più vivere, mio fratello Giorgio quasi impazzì, la ditta velocemente fu chiusa, solo dopo cinque anni dal rapimento arrivò la notifica di morte presunta per mio padre. Per fortuna io avevo due figli e la consolazione di mio marito. La cosa più squallida fu il comportamento dello Stato: vista la richiesta di riscatto dei rapitori, la Finanza compì diversi sopralluoghi in ditta presumendo l’esistenza di chissà quali beni nascosti. Subimmo di tutto, dallo sciacallaggio alle calunnie».

Tullio De Micheli aveva subito, l’anno precedente, un tentativo di rapimento, ma la polizia non fece nulla per proteggerlo. «Nei primi giorni del sequestro, il capo della polizia di Varese insinuò addirittura che papà si fosse allontanato di sua spontanea volontà e io lo affrontai violentemente. Mio padre era legatissimo alla sua famiglia e non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Era lui a tenerci tutti uniti, aveva una forza straordinaria», dice Giacomina De Micheli.

Come di <+G_NERO>Emanuele Riboli<+G_TONDO>, il ragazzo di Buguggiate rapito a 17 anni il 14 ottobre 1974 mentre ritornava a casa dopo aver frequentato la scuola serale, anche di De Micheli non si parlò più per anni, fino allo sforzo, purtroppo vano, del pm Grigo di restituire alla famiglia almeno i resti. E fino a oggi, quando si torna a parlare di confino dopo la decisione del tribunale di Palermo di autorizzare la sorveglianza speciale di Salvatore Riina, terzogenito del boss Totò Riina, nella città di Padova. Polemico il gruppo della Lega al Senato, che ha presentato una mozione in cui si impegna il Governo a «rendere vincolate il parere degli amministratori locali nei casi di trasferimento di esponenti mafiosi e di loro familiari in località diverse da quelle di residenza».

«Di mio papà ho ricordi bellissimi, che mi aiutano a vivere. Mi sembra ancora di vederlo nel terrazzo della sua casa discutere con mio figlio della Juventus, della quale erano entrambi tifosissimi. Era un uomo dedito al lavoro e alla famiglia, le sue passioni erano il calcio e la vela. Ora leggo che vorrebbero riportare al Nord in soggiorno obbligato addirittura il figlio di Totò Riina e sono sconcertata. Questa gente, una volta insediata, non si mette certo a coltivare l’orto».
Mario Chiodetti

e.marletta

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