Varese, compie 105 annil’ultimo della Marcia su Roma

VARESE Abita a Varese e ha festeggiato ieri il centocinquesimo compleanno l’ultimo reduce della marcia su Roma. Lui, Vasco Bruttomesso, classe 1903, è rimasto fedele all’ideale fino ad ora dopo aver attraversato la storia di un secolo e di una nazione. Facista fino alla punta dei capelli, è il caso di dirlo, ma anche sindaco di Carbonate per la bellezza di dodici anni, non ha potuto fare a meno di arrivare alla festa organizzata per lui alla fondazione Molina con addosso una felpa nera con bordi tricolore e la scritta “DUX”

imperante sul petto. «Si è fatto riconoscere da subito come una persona particolare – raccontano le animatrici – ce lo trovavamo tutti i giorni a camminare di continuo per il parco, percorreva chilometri e chilometri perché non ha mai perso l’abitudine di marciare. Si fermava solo di tanto in tanto, se incontrava qualcuno, e raccontava molto volentieri delle pagine di storia che ha vissuto personalmente».
Da qualche mese non più lucido e iperattivo come prima, pur a fatica Vasco riesce ancora a tirar fuori tutta la voce necessaria a raccontare la sua storia, e lo fa con piacere e commozione nonostante sia rimasta una persona piuttosto schiva. «Era il 28 ottobre 1922, mi ricordo benissimo quel giorno». Ed è un giorno difficile da dimenticare per la storia d’Italia, quello della marcia su Roma. All’epoca, solo 19 anni, si trovava a Firenze per studiare ingegneria dopo aver finito il liceo. Ma Bruttomesso non era un novellino tra le camicie nere: nel ’19, ai tempi del liceo e ad appena 16 anni, aveva già fondato la prima sezione del fascio ad Annone Veneto, suo paese natale sulle sponde del fiume Livenza.
Più che un’ideologia, alla base della sua marcia su Roma c’era l’amore per una nazione, come racconta lui stesso. «E’ stato tutto dettato dall’amor patrio – racconta – il punto cruciale per noi a quell’epoca era il sentimento nazionale che avevamo chiaro e ci tenevamo ben stretto». Ma non è finita lì, per il fascista Vasco Bruttomesso che dopo quel 22 ottobre entrò nella milizia di Mussolini come ufficiale e lì rimase fino alla caduta finale. Durante i bombardamenti sulla città di Milano invece si occupò degli approvvigionamenti, un lavoro durissimo: doveva spostarsi con i camion fino alla bassa padana con il rischio di diventare un bersaglio. Il peggio però doveva ancora venire. Il 25 aprile è stato salvato, letteralmente, dalla nascita del primo figlio. Raggiunta la sede del partito in sella alla sua motocicletta arrivò una telefonata dall’ospedale per avvisarlo che la moglie stava partorendo. Non essendo il caso di presentarsi con la divisa fascista decise di mettersi in borghese: fu la sua salvezza, i partigiani lo avrebbero preso all’istante. Finita la guerra diventò dirigente industriale per una tessitura, prima a Milano e poi a Carbonate, dove si candidò e vinse le elezioni da sindaco, come indipendente, per ben tre volte. «Non ha mai avuto grande fiducia nella classe politica del dopoguerra – racconta Vincenzo Biotti, caro amico e segretario varesino della Fiamma Tricolore – infatti rifiutò l’incarico di sindaco quando la Dc gli chiese l’iscrizione al partito».
Francesca Manfredi

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