La Guerra in un Sorriso per Gaza

Azzate - Sul palco e in platea musica, parole e la gioia dei bambini incantati dalle storie di Claun Il Pimpa

In Iraq, nella striscia di Gaza, come in provincia di Varese, sempre e comunque tra i bambini per educare al rifiuto dell’odio e alla guerra.Il varesino Marco Rodari, in arte Claun Il Pimpa, riempie la sua vita di andate e ritorni dai luoghi di guerra per accorciare distanze e cultura. Il sorriso e l’entusiasmo sono gli stesso di sempre. Tra le macerie di un pezzo di terra di poco più di 350 km quadrati dove sono rinchiuse due milioni di persone come in scuola di Buguggiate o un teatro di Azzate dove la Pro Loco ha splendidamente organizzato lo spettacolo del Pimpa accompagnato dalle voci di Marco Airoldi,

Alice Pezzoli e Stefano Moreni che hanno letto pagine del suo libro “La Guerra in un Sorriso”, la presentazione di Annalisa Motta, il Clown Margherito, la Tac-Tic Band, il Coro Mani Bianche e la Filarmonica di Vedano, il Coro dei bambini di Biumo Inferiore con quelli della Scuola Pascoli di Azzate. Due ore intense con video collegamenti con Padre Mario da Silva, Parroco dell’unica parrocchia cattolica presente a Gaza e Padre Luis Montes in Iraq.

Dal libro “La Guerra in un sorriso“…Sento i colpi. Risuonano strani, paiono rivolti verso il cielo ma potrei sbagliarmi. Non ho fatto un grande orecchio ai colpi d’arma da fuoco durante questi giorni di guerra, anche perché se ne sono sentiti davvero pochissimi. D’altronde questo conflitto è avvenuto soprattutto via aria. Missili, decine di migliaia di missili, sparati da caccia, droni, corazzate e lanciarazzi. Abbiamo avuto la visita dei carri armati solo per i pochissimi giorni in cui si è combattuto con truppe terrestri. È pazzesco come l’orecchio si fa subito sensibile ai rumori di guerra. Oramai posso distinguere chiaramente lo schianto di un ordigno al suolo, dall’esplosione sonora provocata da un F16 quando rompe il muro del suono.
I colpi continuano, letteralmente all’impazzata. Se non fossimo in guerra, parrebbe la mezzanotte del 31 dicembre, quando l’insieme di tutti i botti, sparati in modo indiscriminato, riempiono l’aria di frastuoni assurdi. All’interno di questa follia musicale, sento spuntare solo una voce dalla porta d’ingresso: “Marco, hanno firmato una tregua, direi che sia meglio non unirci alla festa, per stasera restiamo a casa”.
“Hai idea di quanto duri questa tregua?” “Trenta giorni, ma penso che siamo vicini ad un accordo di pace”. È disumano come una parola cambi il senso concreto di quello che stai vivendo.“Tregua”
Sparate pure, io da qui non mi muovo, sono al sicuro e ascolto con grande piacere lo sfogarsi armato di milioni di cuori repressi.

“Tregua”. E dal mio corpo sbocca letteralmente tutta la tensione nervosa, mista a rabbia, stanchezza e delusione, che mi hanno fatto morire dentro, questi giorni di guerra.
“Tregua”. Avrei una gran voglia di esultare, di correre sotto la “curva” così forte da perdere ogni fiato.. Ma non riesco a muovere neanche un dito. Sono stravolto. Ma questa volta… si volta la pagina. E subito pensi a chi mi aspetta a Leggiuno, che non ha dormito come me, o forse ancora meno di me, perché è rimasto ventiquattro ore su ventiquattro in tensione, non sapendo assolutamente nulla di quello che accadeva quaggiù. E non vedo l’ora di scrivergli una sola parola: “Tregua”.