“Piccolo è bello” nell’export I segreti sono qualità e prezzi

Tutti possono arrivare sui mercati esteri: i clienti comprano laddove trovano la merce giusta al prezzo giusto. E i mercati globali hanno infranto ogni barriera dimensionale: anche le imprese più piccole, se dotate degli strumenti giusti, possono arrivare a esportare oltre confine. Anzi, non solo possono, ma sempre più devono arrivare a farlo: «Per le imprese – spiega , del servizio Internazionalizzazione di Confartigianato Imprese Varese – guardare ai mercati esteri rappresenta una via di salvezza».

Il mercato italiano, negli anni passati, offriva molte opportunità «ma oggi non è più così: la crisi, la mutazione delle relazioni economiche, Paesi molto più performanti rispetto l’Italia hanno aperto un fronte di scelte obbligate». Poi, aggiunge Campari ,«l’Europa è ormai un mercato domestico: si deve guardare più in là».

E i dati dimostrano che l’apertura verso il mondo esterno porta i suoi buoni frutti: nel 2013 il numero di esportatori italiani è cresciuto arrivando al numero record di 211.756 unità, ovvero oltre 2.600 in più rispetto al 2012.

E proprio questo incremento è stato determinato in massima parte dall’aumento del numero dei micro-esportatori (con fatturato estero inferiore ai 75 mila euro), cresciuti di 17mila unità dal 2004 al 2013 «e bisogna anche aggiungere che, chi esporta, presenta indicatori strutturali migliori rispetto alle altre imprese: aumenta la produttività e l’investimento nel capitale umano» sottolinea Campari.

Sono sempre Germania e Francia i maggiori destinatari dei nostri prodotti, con quote pari rispettivamente al 12,4% e al 10,8 per cento. Gli Usa sono al terzo posto, con una quota del 6,9%, seguiti da Svizzera (5,2%) e Regno Unito (5%): ma i mercati sono in continua evoluzione e le imprese devono attrezzarsi per seguire le tendenze e le evoluzioni, puntando sulle loro qualità.

E le piccole imprese sembrano avere qualità fatte apposta per l’internazionalizzazione, aggiunge Campari: «La flessibilità, che è un vero valore aggiunto dell’impresa, la capacità di innovare, la cura e l’attenzione al cliente con servizi “chiavi in mano”, la continuità aziendale, nuove idee».

Questi sono tutti fattori positivi dei quali le stesse imprese devono acquisire coscienza per trovare il coraggio di prendere e andare, superando i loro limiti «perché le nostre imprese producono grande qualità – aggiunge Campari – ma a volte non hanno il coraggio di venderla sui mercati esteri».

E coraggio, cambio culturale e un buon prodotto da vendere sono già un buon punto di partenza per fare il primo passo: chiedere consiglio il passo successivo.

Anche per questo ci sono le associazioni: «Confartigianato Imprese, grazie alla sua esperienza, può facilitare la divulgazione delle informazioni e la trasmissione delle conoscenze: non diciamo all’imprenditore “devi fare così”, ma lo mettiamo nella posizione giusta per poter scegliere il meglio per la sua azienda».

Non ci si inventa imprenditori così come non si inventa un progetto sull’export: bisogna prepararsi, anche attraverso «la conoscenza delle lingue straniere, un buon posizionamento sul web, l’uso dell’ecommerce – spiega Campari – Questi sono strumenti fondamentali per partire. Bisogna mettersi in gioco, ma con la consapevolezza che l’export deve essere gestito da personale preparato».

Mettersi insieme potrebbe essere un’altra via per facilitare il percorso: «Sviluppare la capacità di unire le proprie competenze, magari secondo la vecchia logica dei distretti, potrebbe essere interessante: la complementarietà delle imprese è una pista da battere. L’importante è dimostrarsi sempre affidabili: è questo che sta alla base dell’export».

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