Ciao, grande Gualco Hai fatto di Varese la città del basket

Noi non lo sappiamo se un uomo possa immaginare il proprio funerale. Se andando in là con gli anni si possa pensare al modo più bello per salutare gli amici e i compagni di viaggio. Però ci piace pensare che sia così, e che Giancarlo Gualco abbia sognato il suo funerale esattamente come è stato. Ieri mattina, nella Basilica di San Vittore, nel cuore della sua Varese.

Perché sembra che il suo addio alla città che ha reso grande sia stato scritto dalla penna ispirata del più grande degli scrittori. Tutta la sua vita raccolta in un’immagine, potente e capace di calamitare le lacrime di chi l’ha vissuta e colta. La bara di Gualco con una maglia dell’Ignis appoggiata sopra, che lentamente esce dalla Basilica per essere abbracciata dal sole della piazza, accompagnata dai suoi ragazzi. Sandro Galleani, Aldo Ossola, Dino Meneghin, Marino Zanatta,

Massimo Lucarelli, Ottorino Flaborea. Tre da una parte, tre dall’altra. Come quando lo portavano in trionfo dopo una coppa conquistata, come quando lo scortavano per entrare in campo prima di un derby infuocato al PalaLido. Un gesto che non era stato preparato o pensato, e che è venuto fuori da solo: così come le lacrime che occhiali da sole non sono riusciti a nascondere dagli occhi di Meneghin e Ossola. Non si è mai abbastanza anziani per andarsene senza far piangere, specie quando si è vissuta una vita intensa e capace di regalare sorrisi agli altri.

Un funerale senza applausi, come tutti dovrebbero essere. Un funerale fatto di emozioni, come pochi riescono a essere. E chissà se dall’alto qualcuno si è divertito a guardare così tanta storia della pallacanestro racchiusa in così poco spazio. Perché c’erano tutti i grandi del passato: quella squadra leggendaria messa insieme da Gualco e ancora unita nel salutare il suo papà. Sulle panchine della Basilica c’erano stipati sette Scudetti e cinque Coppe dei Campioni, con tutto quello che ha accompagnato quel periodo irripetibile. I giocatori (Meneghin, Ossola, Zanatta, Vittori, Lucarelli, Rusconi, Flaborea ma anche Ricky Caneva), coach Sandro Gamba (Nikolic guardava dall’alto, senz’altro), l’indispensabile Galleani (anche Marino Cappellini guardava da lassù). I tifosi che hanno avuto la fortuna di vivere quelle vittorie che ora gli regalano il lusso di guardare i giovani senza invidiarli. I giornalisti che hanno raccontato le sfide più belle scrivendo pagine memorabili: Augusto Ossola, Max Lodi, Giancarlo Pigionatti, Claudio Piovanelli, Oscar Eleni, Enrico Minazzi.

I dirigenti che sono venuti dopo di lui come Toto ed Edo Bulgheroni, le figure che lo hanno accompagnato. I tifosi illustri come il sindaco Attilio Fontana, venuto su guardando quella squadra e trascinato per i capelli dalla passione.

Sono state tante le frasi che ci hanno colpito. Quelle pronunciate da Maurizio Gualco, il figlio di Giancarlo: «Sei stato un marito, un padre, un nonno che è sempre riuscito a fare per noi la cosa giusta al momento giusto. Vorremmo dirti tante cose, ma in questo momento è difficile. Del resto, ce l’hai insegnato tu che nella vita contano i fatti e non le parole. Ciao, Gualco». Quelle uscite dalla bocca di due giovani tifosi di Varese, in lacrime anche se loro Gualco non l’avevano mai conosciuto: «Ogni tifoso biancorosso oggi dovrebbe piangere, se siamo qui è grazie a lui». Le parole di Lucarelli che hanno dato spazio alla sua emozione: «Nessuno è stato come lui».

E poi, come succede spesso, gente che non si vedeva da tempo e che si è ritrovata insieme ha voluto salutare Gualco col sorriso di chi ha molte cose da raccontare e ricordare. I capannelli tra Meneghin e il Pigio, Ossola e Zanatta: «Ma ti ricordi quella volta là…?».

Però vogliamo condividere qui il ricordo più bello. Ce l’hanno regalato i colleghi Claudio Piovanelli ed Enrico Minazzi, e l’abbiamo fatto nostro. «Ai tempi d’oro – hanno detto i due cronisti – noi eravamo poco più che ragazzini, giovani sognatori che si atteggiavano a fare i giornalisti. Era abbastanza normale che i giganti che andavamo a intervistare ci trattassero di tanto in tanto con un po’ di supponenza. Lui, no. Lui ci riceveva nel suo ufficio e ci parlava esattamente come se avesse avuto di fronte l’inviato della Gazzetta dello Sport o qualche decano del giornalismo. Un insegnamento enorme, che non dimenticheremo mai e che, per quanto cu riguarda, accomunava tre grandissimi. Giancarlo Gualco, Sandro Gamba e Peo Maroso».

L’ultima immagine regalata dal saluto a Gualco è quella di Aldo Ossola che stringe tra le mani la maglia gialloblù della Ignis. Quella che prima era appoggiata sulla bara. La tiene con sé, meticolosamente ripiegata: per il prossimo saluto, per la prossima rimpatriata, per la prossima volta che la storia si fermerà per guardarsi. E vedersi più bella che mai.

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