«Convertito all’Islam, cambio fede e nome ma non il mio cuore. Batte per il Varese»

Adam Crippa, tifoso da sempre sposato con Basma, ragazza tunisina. La storia di un grande biancorosso

Se al Franco Ossola dicevi Enrico, ti rispondevano Crippa riferendosi subito a uno dei tifosi più innamorati del Varese. Lui oggi ha ancora nel cuore i colori biancorossi ma il suo nome è cambiato dopo la conversione all’Islam. Un episodio vissuto intimamente di cui Adam Crippa, come si chiama adesso, ha voluto parlare alla Provincia.

Esatto: questo è il mio nuovo nome. Vi confesso che per la verità ne avevo avuto anche un altro. Tre anni fa, mi ero convertito all’Islam alla moschea di Varese e avevo scelto di chiamarmi Omar. Quando però ho deciso di sposarmi con mia moglie Basma, che è tunisina, mi sono dovuto convertire anche in Tunisia: a mia suocera piaceva il nome Adam e l’ho scelto. Quante cose si fanno per amore.

C’era stato un momento in cui avevo perso la fede cristiana, quando era morto per un tumore, ad appena 42 anni, il marito di mia sorella, rimasta sola con tre figli. Giorgio Stabilini, caro amico che è sempre stato conosciutissimo per aver gestito un noto agriturismo di Bodio, si era convertito all’Islam e mi aveva proposto di fare il ramadan. Ho accettato vivendo non solo un periodo di digiuno in cui ho perso sette chili ma un momento speciale di riflessione e di crescita spirituale.

Poi, un giorno, alla moschea di Varese, davanti a tantissime persone, mi sono alzato per dare un annuncio: «Abbraccio la fede musulmana» ho detto in arabo. Tutte le persone che avevo davanti si sono alzate all’improvviso e per un momento ho temuto di aver fatto una gaffe, magari per qualche errore in arabo. In realtà poi mi sono corsi tutti incontro ad abbracciarmi, chiamandomi fratello.

Come potrei dimenticarmelo? Benhassen era uno dei miei giocatori preferiti ed era molto giovane: quando subentrava negli ultimi minuti di partita offriva qualità e guizzi vincenti.

Beh, sono venuto per 25 anni di fila al Franco Ossola non perdendomi neppure una partita, andando, alle volte, anche con la febbre allo stadio. Ma poi un incidente sul lavoro mi ha frenato. Era successo appena promossi in B: avevo visto le prime quattro gare del campionato 2010-2011, con Torino, Atalanta, Empoli e AlbinoLeffe. Poi mi sono dovuto fermare.

Sì e dopo la finale dei playoff con la Sampdoria mi sono detto che non sarei più venuto allo stadio.

Non mi è piaciuto come alcuni dei biancorossi hanno interpretato quella partita. La promozione in A doveva essere nostra. Era lì a un passo. Ma qualcuno evidentemente non ci ha creduto.

Sì sono ritornato insieme a mio papà Lino che si è commosso. Lui è uno inossidabile, classe 1935, quasi quella di Peo Maroso che era del 1934. Mio padre giocava nella Primavera del Torino e avrebbe avuto un futuro come ala di classe ma aveva dovuto smettere perché era rimasto orfano di padre e non poteva più permettersi di giocare a calcio. L’anno scorso ha avuto un infarto e adesso porta quattro bypass ma il suo cuore, esattamente come il mio, continua a battere per il Varese.

Certamente e di lui ho tre aneddoti speciali.

Dal 10 aprile 2009, vigilia di Varese-Pavia al Franco Ossola. Beppe si era presentato allo stadio dicendo: «Oggi niente allenamento, tutti dentro al Bar». E aveva radunato i giocatori al Goalasso, sotto la tribuna di Masnago. Poi aveva messo un cd di Marco Masini, con la celebre canzone “Vaffanculo” e aveva telefonato al direttore sportivo Sean Sogliano. Quindi mi aveva lasciato il telefono in mano mentre lui era uscito dal bar chiudendolo a chiave con dentro me e tutti i biancorossi: dovevano far sentire la loro voce più forte di quella che usciva dal disco con il volume a palla.

Esattamente, con due gol di Del Sante che, subito dopo la performance canora, Sannino aveva torchiato in campo, prendendolo per la maglia e tirandolo nell’area di rigore. Ma Sannino aveva anche invitato il magazziniere Olly a innaffiare pesantemente le aree di rigore.

Perché, aveva detto, che in questo modo Benny Carbone, all’epoca attaccante del Pavia, non avrebbe toccato palla. E fu proprio così.

Ad Alghero, dove avevamo vinto con un gol di Dos Santos, Sannino aveva esultato girandosi verso la tribuna e abbracciando i tifosi biancorossi con lo sguardo. A me aveva mandato un bacio.

La finale per la B con la Cremonese è stata la partita delle partite. Io volevo stare al mio posto di sempre, ovvero seduto su uno dei gradini della tribuna, ma uno steward mi voleva fare accomodare al posto corrispondente al mio biglietto. Sannino, anche lui scaramantico, indicò allo steward di farmi stare dove volevo.

La squadra del cuore e lo stadio è stato una seconda casa. Peccato che, dopo la mia conversione all’Islam, i miei amici storici dello stadio mi abbiano isolato. Non li ho più sentiti. Chi mi vuol bene invece ha accettato la mia scelta di vita, come papà e mamma. Io sono sempre lo stesso di prima anche se adesso mi chiamo Adam.