Dopo gli Indimenticabili, ecco i “Resuscitabili”. Scusa Moretti, avevi fatto una bella squadra…

Il punto di Fabio Gandini sull’Openjobmetis Varese

Dopo gli Indimenticabili, ecco i Resuscitabili. La miglior versione della Pallacanestro Varese da quattro anni a questa parte merita anch’essa un soprannome, soprattutto alla luce del fatto che ora può fregiarsi di un record della pallacanestro italiana: il maggior numero di vittorie consecutive (sei) partendo dall’ultimo posto. Lo avevamo già scritto la scorsa settimana, tagliato il traguardo dei cinque successi del fu fanalino di coda (dal 1987 un ruolino simile lo aveva avuto solo la Avellino di Pancotto, nel 2013), ma non ha fatto notizia. Un po’ come fatica sempre a fare notizia il coach che di questi Resuscitabili è stato lo scarto ontologico capace di colmare la distanza tra la morte e la nuova vita.

Vi raccontiamo la sua storia e quella dei suoi uomini. I Resuscitabili nascono, la prima volta (si intende), tra il luglio e l’agosto del 2016. Oggi, al culmine di questa orgia di felicità consecutiva, dobbiamo tutti delle scuse a coach Paolo Moretti, primo autore di tutte le scelte di mercato, e agli avvallanti-cooperanti dell’area tecnica (Claudio Coldebella, Toto Bulgheroni, Max Ferraiuolo): han fatto su un bel roster, non c’è che dire. Qualità diffuse, intercambiabili fra loro, la cui summa è una squadra divertente, pericolosa ed efficace.

Il problema è che l’allenatore toscano prova a credere nel gruppo da lui edificato giusto lo spazio di un paio di mesi di sconfitte. Poi lo molla. E i futuri Resuscitabili muoiono. Muore l’idea di un Maynor pietra angolare del progetto tecnico. Muore l’idea di un atipico come Eyenga da far giocare in un certo modo. Muore la speranza di sfruttare appieno le doti di un giocatore di sostanza come OD Anosike. Muore la grinta di Giancarlo Ferrero. Muore l’importanza difensiva di un Kangur con un anno in più sulla carta d’identità. Muore la volontà di plasmare una materia grezza come Pelle. Muore l’idea di un gioco veloce e divertente, muore l’esigenza di una difesa stagna come punto di partenza di ogni fortuna.

Tali e tanti sono i decessi in serie che gli inquirenti sono costretti a compiere delle indagini, le quali in sintesi trovano un solo, grande colpevole (oltre all’inadeguatezza intrinseca ed estrinseca dei singoli protagonisti), un unico, enorme paravento dietro al quale nascondersi dalle taglienti folate di un campionato andato in malora già a novembre: la partecipazione alla Champions League.

Andiamo avanti: arriva in città Dominique Johnson, perendo anch’egli poco dopo in circostanze misteriose. Funerali, commiato, sepoltura. Ben oltre l’estrema unzione, quindi, viene chiamato Attilio Caja e gli si chiede di ricominciare la stagione da 12 tombe e da un posto in classifica che ben presto – sulla scia dei necrologi della precedente gestione – diventerà l’ultimo. L’Artiglio accetta a una sola condizione: poter disputare il precampionato, anche se il calendario segna prima lo scorrere di gennaio e poi quello di febbraio.

Così è: un paio di mesi di allenamenti duri dal punto di vista tecnico e fisico, un po’ di maquillage psicologico per saldare il gruppo ed eccoci arrivati a oggi. Ovvero a un secondo posto in classifica al pari con Milano e dietro solo a Trento (è la graduatoria del girone di ritorno). No, eh? Avete ragione: siamo undicesimi e per l’ennesimo anno a maggio guarderemo gli altri giocare (a meno di nuovi miracoli). D’altronde era già tutto scritto: non esiste resurrezione senza morte.