In bici tutti i giorni da Induno a Milano Quella di Ganna è stata una vita di fatica

Ecco chi era il primo vincitore del Giro, leggenda della nostra terra. Brera: «Varesino alto e forte dal viso aperto e gioviale del semplice». Acciuffò Galetti grazie a un passaggio a livello chiuso, e fu il trionfo

«Stavo lanciando la mia bicicletta e volevo che questa uscisse dalla mia modesta officina per entrare nell’agone sportivo con tutti gli onori. L’annuncio della “Gran Fondo” mi elettrizzò. Mi preparai intensamente… il successo in quella competizione aveva avuto per me importanza enorme. Avevo vinto con la mia bicicletta e la vittoria aveva avuto grande ripercussione nel mondo ciclistico».

Luigi Ganna in fuga nella Milano Sanremo del 1909

Luigi Ganna in fuga nella Milano Sanremo del 1909

Luigi Ganna ha appena trionfato nella “Gran Fondo” di seicento chilometri in sella a una Ganna, è il 1912, e il vincitore del Giro d’Italia del 1909 ha aperto una piccola officina in proprio in piazza XX Settembre a Varese, dove costruisce modelli da corsa, prima di trasferirsi nella fabbrica di viale Belforte. Nel 1913 Luison ha già una sua squadra ciclistica di otto elementi di cui è capitano, ma l’anno successivo una brutta caduta al Giro lo convince a ritirarsi e a dedicarsi anima e corpo all’azienda, amata quasi come un figlio.

Oggi, finalmente, il Giro d’Italia gli rende omaggio, i corridori della diciottesima tappa partiranno da Melide per poi entrare in Italia da Lavena Ponte Tresa, risaliranno la Valceresio e attraverseranno Induno Olona – dove Luigi Ganna nacque il 1° dicembre 1883, nono figlio di Martino Dionigi e Maria Mentasti, contadini – e Varese, la città che lo vide operare come costruttore. Un tributo un po’ tardivo alla leggenda del ciclismo eroico, a un uomo che ogni giorno percorreva, su strade polverose e piene di buche, cento chilometri per andare a lavorare come muratore a Milano, una sacca fissata al manubrio con una pagnotta e una bottiglia di acqua zuccherata forse allungata con un po’ di vino.

Un uomo che voleva dare a tutti una bicicletta robusta, affidabile e a basso costo, perché aveva conosciuto immani fatiche e sacrifici inimmaginabili per uscire dal gruppo e diventare qualcuno. Si allenava andando al lavoro, quasi senza saperlo, dopo dieci ore di fatiche a impastar calcina e cemento lo attendevano altri 50 chilometri per ritornare a casa, così i “garoni” diventarono stantuffi e Luison fece il grande salto, correndo per davvero.

Ecco come Gianni Brera, nel suo “Addio Bicicletta”, ricorda le prime gare di Ganna e la sua amicizia con Eberardo Pavesi, compagno di squadra all’Atala assieme a Carlo Galetti.
«Con le prime giornate buone, il Granida infaticabile organizzatore di gare ciclistiche e insuperabile barista d’altri tempi in Piazza d’Armi a Milano, riarma la bancarella per attirare nuovi avventori. “Il club dei ciclomani” s’è arricchito di nomi nuovi, tra questi Luigi Ganna. Varesino, alto e forte,

ha il viso aperto e gioviale del semplice: sotto la camicia inzaccherata di calce s’indovina il torso possente, sotto i calzoni di rigatino la muscolatura sciolta e ben modellata delle gambe. Sosta in disparte a studiare l’ambiente prima della gara. Nessuno lo degna di uno sguardo. Tutti sono troppo occupati a disputare con il Granida per accorgersi di lui e quando incrociano il suo sguardo le parole del Parini (il ganassa del gruppo) sono taglienti: “Anca i magutt!”, ridacchia ammiccando ai compari.Luison Ganna sbatte le palpebre allibito. Gli molla una pacca scherzosa e il Parini traballa: “Faccio il muratore ma anche un magutto è meglio di te !”. “Ven chi Luison”, incalza l’Eberardo che lo prende subito in simpatia (è il Pavesi, sarà l’avocatt per via di una disputa andata a buon fine con la sua società ciclistica e poi commissario tecnico della Legnano) “lassa che ciciaren, sei forte in volata?”. “Si possono staccare prima”, ribatte Luison… e così tramano la tattica.Mancano tre giri, Ganna aumenta il ritmo, allunga e io (l’Eberardo), alla sua ruota, gongolo. “Brutt demoni”, strepita Luison al Parini, “damm del magutt a mi!”, e quando conclude l’invettiva aumenta il passo. Io insisto per tirare il mio turno e lo faccio per salvare la dignità: ma Luison non pare approfittarne più che tanto. Quando mi volgo a guardare scorgo il gruppo inseguire a testa bassa, in una nube di polvere: “Ah, ah”, ridacchia Ganna spianando il faccione gioviale “i bulli del Granida! Magutt a mi!”, e sgrugna. Senza scomporsi Luison taglia primo il traguardo e si pianta, per rallentare, sui pedali. Reclama subito il grano dal Granida: “Scia’, chi i franc!”. Farà poi a mezza con me».

Ma nell’immaginario collettivo dell’epoca, la figura di Ganna è legata all’illustrazione di Achille Beltrame ne “La Domenica del Corriere” del 1909, con Luison che stravolto taglia il traguardo all’Arena di Milano e vince il Giro.
“La Gazzetta dello Sport”, già allora autorevole e seguitissima, annunciò il primo Giro d’Italia per il maggio 1909 con ben trentamila lire di premi.
L’inizio fu drammatico: Gerbi, il “diavolo rosso”, uno dei favoriti della gara, cadde poco dopo il via e perdette tre ore buone per riparare la bicicletta, o meglio la “macchina”, come veniva chiamata allora, mentre Petit Breton cadde a Peschiera ferendosi a un braccio tanto che fu costretto al ritiro già a Bologna.

“La classifica era allora stabilita per punti, secondo l’ordine d’arrivo. Uno al primo, due al secondo, tre al terzo e così via fino alla metà dei partiti nella tappa. Gli arrivati dopo la metà avevano un punteggio identico: la metà più uno. Così per quanto Ganna avesse vinto le tre tappe di Roma, Firenze e Torino e alla vigilia di partire per Milano fosse primo della classifica generale, pure egli era minacciato da Galetti che per la costante regolarità dei suoi arrivi teneva il secondo posto con 25 punti contro i 22 del primo”, si legge nel volume, della collana “La biblioteca della Gazzetta dello Sport”.
La buona stella accompagnò il gigante varesino che, nell’ultima tappa da Torino a Milano, nonostante due forature e il ritardo accumulato, riuscì a riacchiappare Galetti, fermo con il gruppo di fuggitivi al passaggio a livello chiuso di Rho.

Ecco la cronaca della “Gazzetta”: “Ma che avviene? Perché la folla che incontra non lo guarda più con accorato stupore, perché si urla nuovamente il suo nome con gioia festosa, si battono le mani, riprende il delirio? Perché una colonna di macchine è ferma al centro della strada? Perché gli si grida: evviva, evviva bravo? Cos’è quell’assembramento laggiù a trecento metri, quelle ruote di biciclette issate sulla folla? Un lampo sfavilla nella sua mente; Ganna intuisce la situazione, piomba tra gli avversari trattenuti dal passaggio a livello, vi ritrova Galetti, il solo che gli importi, il cuore batte più forte, due ore di spasimo non sono state che un sogno, la corsa riprende verso l’imminente traguardo. Il mare in tempesta urla meno di quanto abbia urlato di sollievo e di gioia la folla dell’Arena quando le fu detto che Ganna aveva ripreso, che Ganna aveva lasciato a due punti l’avversario”.