«Sarebbe più bello dello scudetto. È come se fosse un matrimonio…»

Dopo aver saputo della proposta di conferirgli la cittadinanza onoraria, il Poz ci ha aperto il suo cuore

Prima ha pianto. Quando ha letto, quando ha saputo: certe notizie arrivano anche a Formentera. Ha pianto non solo perché sta diventando grande (ieri il tassametro della vita gli ha segnato 45 anni), ma anche perché chi vive di emozioni a volte non può far altro che inumidire gli occhi per reggere il peso delle stesse. Poi ha confessato che piangerà ancora: «Quando sarà e spero che lo sarà davvero…». Poi ancora ha promesso: «Se mi danno davvero la cittadinanza onoraria mi metto a disposizione per i lavori in piazza Repubblica».

Infine ha trovato le parole giuste: «Per me è come se fosse un matrimonio. Diventare cittadino significa dire finalmente: “ sei uno dei nostri”. Qui non c’entra il giocatore, c’entra la persona: vale più di ogni altra cosa».

Il quasi varesino Gianmarco Pozzecco (la richiesta della cittadinanza onoraria dovrà essere prima presentata e poi votata in uno dei prossimi consigli comunali) non se lo aspettava un regalo di compleanno in grado di aggiungere un nuovo capitolo alla sua storia d’amore con Varese: «Non me l’aspettavo, ma l’ho sempre sognato – attacca il Pozzo (no, non Poz: dopo capirete…) – Quando ho saputo dell’iniziativa ho rivissuto dentro di me emozioni passate che pensavo fossero ormai sopite. A Varese sono stato giocatore e allenatore, esperienza quest’ultima durata poco ma comunque molto intensa: se diventassi cittadino onorario, il legame con la città verrebbe suggellato come infinito. Come eterno».

E varrebbe quasi più di quello scudetto vinto nel 1999, miccia di un amore capace di andare ben oltre il parquet. Bestialità? No, e Gianmarco prova a spiegare perché: «Perché non sarei più solo quello che ha fatto vincere il titolo della Stella ai Roosters, sarei uno dei vostri, sarei un varesino vero. Ad Andrea Meneghin ho sempre invidiato il fatto di essere un figlio della città: lui poteva dire di essere varesino, il sottoscritto no, anche se le persone che mi fermano per strada a volte sono convinte che sia nato proprio a Varese. Io, quando succede, quasi non rispondo. Ora, invece, potrò farlo, potrò dire finalmente: sì, io sono un cittadino di Varese».

Oltre il parquet, si scriveva: questa è una storia di legami. E non è un caso che a proporre la cittadinanza onoraria per Pozzecco sia stato Marco Pinti, amico e non politico nel caso di specie: «Quando lo conobbi aveva 12 anni. Sapevo che stava vivendo un momento di difficoltà, quindi venne a vedere una partita e poi lo invitammo a mangiare la pizza con noi giocatori. Scelse una pizza schifosissima: patatine, wurstel, fagioli, tonno. “Questo non è normale – pensai – potremmo andare davvero d’accordo quindi”. E così è andata. Vedete, a me la cosa che fa più piacere è questa: la richiesta arriva da persone che mi hanno conosciuto oltre la pallacanestro. E a Varese ce ne sono tante: se mi hanno amato in tanti – come ha detto ieri il Toto (Bulgheroni ndr) io sono davvero non posso chiedere di più».

Varese, che é sempre stata diversa da tutto e da tutti: «Un esempio? In tutta Italia sono “il Poz”, da voi invece sono sempre stato soprannominato “il Pozzo”. Sulle prime manco mi giravo quando mi chiamavano così, poi mi ci sono abituato: a Varese è come se fossi sempre stato un Gianmarco dissimile da quello che sono stato altrove. Unico. E questo è accaduto fin da quando sono arrivato in città la prima volta: era estate, giunsi con Toni Bulgheroni in macchina da Vigna di Valle e non c’era nessuno in giro. Prima di andare nella casa che mi avevano trovato in viale Europa, mi presentai al Campus con gli occhialini tondi e vestito con una felpa arancione. In due parole: uno sfigato. Anni dopo la segretaria dell’epoca Ilaria Bulgheroni me l’ha confessato: “La prima volta che ti abbiamo visto, quasi tutti abbiamo pensato: ma chi cavolo è questo qui?».

Cari lettori, se pensate che si stia divagando, è perché non conoscete il “quasi varesino” Gianmarco Pozzecco: se si tratta di Varese, per lui ogni ricordo tira l’altro, come se fossero ciliegie. Lo riportiamo all’ordine: se ti danno davvero la cittadinanza onoraria, che fai? «Piango. Poi mi piacerebbe andare ad abbracciare tutti casa per casa. Non è possibile? Ok, allora mi metto a disposizione per fare dei lavori o per fare il postino. Davvero. Posso fartela una domanda io ora?». Certo “Pozzo”: «Cosa succede se invece non me la danno? Ma sei sicuro che vada bene?». Speriamo, dai: «No, perchè non so se lo hai capito: per me questo è un passo che varrebbe un matrimonio. È come se finalmente mi sposassi con Varese: mi piacerebbe anche andare in chiesa…».

Un appello: dategliela questa cittadinanza, niente scherzi. Non si abbandona mai una sposa all’altare.