Era segregata in casa dai suoi familiari

La vittima è una giovane pakistana, ridotta in schiavitù per quattro anni da marito, suoceri e cognati. Alla donna era impedito di uscire ed era costretta a svolgere i lavori domestici anche quando incinta

– L’hanno segregata in casa per quattro anni costringendola ai lavori domestici, anche in condizioni estreme. Ma nelle ultime ore i carabinieri della Compagnia di Busto Arsizio, coordinati dal capitano, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano, su richiesta del Sostituto Procuratore della Repubblica della Direzione Distrettuale Antimafia, , nei confronti di 6 soggetti di nazionalità pakistana (facenti parte dello stesso nucleo familiare), indagati a vario titolo per i reati di riduzione in schiavitù e violenza privata aggravata.

La giovane donna, loro connazionale, dopo aver sposato uno dei figli, è entrata a far parte, andando a convivere, del nucleo familiare (composto da suoceri, marito, una sorella ed un fratello) e che per oltre 4 anni, dal 2011 al 2015, momento della denuncia, è stata costretta non solo a svolgere tutte le incombenze domestiche e a soddisfare le necessità di tutti i membri della famiglia, ma di fatto è stata completamente privata della libertà

personale e di comunicazione con il mondo esterno.
La ragazza era costretta ad alzarsi tutti i giorni alle sei di mattina, compiendo le faccende domestiche, provvedendo alle incombenze di tutti, per tutto l’arco della giornata, anche quando non stava bene, addirittura anche quando era incinta. In occasione della prima gravidanza è stata addirittura buttata fuori di casa di notte al sesto mese di gravidanza. Nella seconda gravidanza ha dovuto compiere i duri lavori di casa durante tutto il periodo della gestazione fino al parto. Le hanno impedito di recarsi in ospedale se prima non avesse ultimato le faccende di casa. Una vicenda assurda. Non poteva neppure uscire di casa, neanche per fare la spesa. Non aveva le chiavi e la rinchiudevano tra le mura domestiche quando si allontanavano. Una vita d’Inferno. Anche durante le gravidanze, prima di poter espletare le funzioni vitali minime (bere, mangiare) doveva chiedere l’autorizzazione. La controllavano anche quando andava in bagno, verificando se portasse con sè bevande o altro senza aver chiesto il permesso.

In caso di trasgressione veniva picchiata, aggredita e insultata. Il marito della donna,, potrebbe essere coinvolto in un percorso di radicalizzazione dell’Islam: rispetto a 4 anni fa in cui appariva con capelli corti e completamente sbarbato, oggi si mostra con barba lunga e incolta e con abiti strettamente “islamici”. Non è stato possibile accompagnarlo in caserma senza prima avergli consentito di svolgere la preghiera del mattino.
La suocera, vera “matrona” di famiglia prima di essere accompagnata in caserma, si è fatta cambiare di abiti dalla figlia di 23 anni. La figlia, non essendo sposata, non ha potuto accompagnarsi da sola con altri uomini (i carabinieri): quindi non è potuta salire da sola sull’auto dei militari, ma è dovuta salire insieme alla madre.