Il fanatismo che ammorba la nostra cultura. E va combattuto con l’intelligenza dell’arte

La rubrica Duende

Il fanatismo è la morte della ragione. Ma anche dell’arte.
Purtroppo, l’uomo è succube del fanatismo, lo ricerca, fa quasi parte della sue essenza voler estremizzare un concetto, un’idea politica, una fede religiosa. Ragionare per assoluti, farne un assolutismo imperante nella propria vita, e utilizzare questo suo fanatismo non solo per condizionare la propria vita, ma anche la vita dei propri simili. E quando il fanatismo viene utilizzato da chi è al potere (ed è un comodo strumento per mantenere il controllo sulle persone) assume contorni spesso raccapriccianti, arrivando a degenerare nel vero e proprio orrore.

E l’arte, da sempre, ha avuto l’obiettivo di combattere, spesso con l’arma dell’ironia, ogni fanatismo. Ne è un bellissimo esempio l’opera “Il Crogiuolo” di Arthur Miller, scritto nel pieno del periodo del maccartismo negli Stati Uniti, dove l’autore denuncia i crimini della caccia alle streghe durante il periodo coloniale, parlando dei fatti di Salem. E di fatto crea un paragone con il fanatismo anticomunista imperante negli anni Cinquanta in America.
Un altro esempio di denuncia è l’opera andata in scena domenica pomeriggio al Teatro Openjobmetis di Varese, nell’ambito della rassegna “Pomeriggi Teatrali” diretta da Paolo Franzato.

Lo spettacolo è “Continua à habitare nel Ghetto” di Franco Di Leo. Un’opera, i cui dialogo sono presi direttamente dai verbali degli interrogatori dell’epoca, in cui si mostra la Santa Inquisizione al lavoro per “stanare” i “marrani”, come venivano definiti negli stessi verbali, ovvero gli ebrei costretti a convertirsi al cristianesimo, che tuttavia non avevano rinunciato a portare avanti di nascosto le proprie tradizioni.
Un chiaro esempio di un fanatismo religioso, spesso asservito ad interessi politici, che ha contraddistinto la storia dell’Occidente. E che ci fa capire come spesso le radici dell’odio si annidino nella nostra stessa cultura e mentalità.