Ghemon, i temporali e l’umore come un ascensore. L’umiltà e la sincerità forgiano l’artista più vero

Il commento di Kevin Ben Alì Zinati

C’è un particolare che ci si porta a casa dopo il live di Ghemon all’Hiroshima Mon Amour di Torino. Un dettaglio che dopo una giornata passata con la raccolta live postuma di Chester Bennington e dei Linkin Park sparata nelle orecchie e conclusa con occhi, orecchie e cuore rivolti alla voce di Gianluca Picariello, diventa certezza. Questa è la musica che vogliamo.

La musica vera, sincera, profonda, dove non si parla di cazzate, ma di cose vere, cose che tutti noi proviamo e che a volte non riusciamo a tirar fuori (per paura? per vergogna? per incapacità?), di amore, di depressione, di paranoie «ingoiate nel disagio», di case arredate «dopo un incubo».

Il tour di “Mezzanotte” dell’artista di Avellino è un viaggio tra passato e presente, tra l’album della ribalta “spensierata” ORCHidee e quello nuovo, il diario di bordo degli ultimi tre anni spesi in psicologi, paure, rovinose cadute d’amore, umori che ricordano ascensori, temporali contro cui non ci sono né ombrelli né accappatoi e consapevolezze che sì «è bellissimo, rilassarsi nel pericolo, dentro agli attacchi di panico», perché «la vita chiede rischi maggiori». La nuova maratona di Ghemon in giro per l’Italia è un’altra stretta di mano con un uomo-artista tanto uguale quanto diverso. Stessa voglia di ballare, di saltare, di fare casino, rinnovata consapevolezza sul palco, nuova musica, sempre meno rap e sempre più melodico (come si sente la “sua” black music).

Dopo i dettagli che diventano certezze, ci sono le certezze che diventano conferme. Perché questa è la musica che vogliamo. Quella di Ghemon e delle Forze del Bene, niente basi, niente cose finte, solo chitarre, bassi, tastiere su cui vengono versati sacrificio e divertimento, batterie ruggenti che concretizzano il ritmo dell’entusiasmo di chi la suona e di chi ci canta sopra, voci allenate, cresciute, perfezionate, sintomo di una, ahinoi, sempre più rara consapevolezza che fare il cantante è un mestiere.

Questo insegna Ghemon, che «ogni guerriero, ogni soldato vero delle volte deve andare giù», per poi rialzarsi più forte di prima. Questo ha fatto Gianluca Picariello. Con il suo live di Torino, e con tutti gli altri, ha fatto vedere che dalle bucce di banana ci si rialza, magari anche dando loro un bel calcio per spazzarle via, e che l’artista vero si forgia dalla voglia, dall’entusiasmo, dall’umiltà di fare fatica, dalla sincerità e dai chili di palle che servono per mettersi in gioco.