Ode al teatro: all the world is a stage

È la forma d’arte più viva, quella in cui chi fa muovere e parlare i personaggi è un soggetto “travestito”

“Teatro”, parola magica, al pari di “musica” e “poesia”.
All’origine di tutti e tre i vocaboli c’è ovviamente una radice greca: “teatro” è qualcosa che si vede (un’azione, il “dramma”, che si muove davanti agli occhi dello “spettatore”; “musica’”è un esercizio che ha a che fare con l’ispirazione infusa all’artista dalle Muse, ma che riguarda anche in modo misterioso i numeri e la filosofia (Socrate sentiva la voce del dàimon ordinargli di “esercitare musica”); poesia è

attività creativa per eccellenza, componimento che si realizza attraverso combinazioni armoniose di sentimenti e parole.
Per quanto riguarda il genere tragico, nel passato il teatro ha toccato i suoi più alti vertici nel dramma greco e in quello shakespeariano, con il sostegno di una forte componente religiosa (il rapporto uomo-divinità spesso conflittuale e irrisolto) ed etica (la scelta di un comportamento, l’interrogarsi dell’eroe sulla natura del bene e del male); la drammaturgia moderna, soprattutto quella nordica (Cecov, Ibsen, Strindberg) insiste sulle tematiche esistenzialiste della dispersione/disperazione dell’io e sulla sua mancanza di certezze. Nella commedia, che per definizione si muove su un piano più “realistico” e quotidiano, dove l’ilarità prevale sul pathos, si è passati nel corso dei secoli da toni e intenti prevalentemente “politici”, come in Aristofane, a una satira dei costumi prima giocosa e di stampo razionalista (da Machiavelli a Goldoni) poi via via più caustica, paradossale ed eccentrica (basti pensare alle stravaganze di Beckett, Jonesco, Tardieu) col risultato di un attenuarsi e quasi una sparizione della dicotomia tragico/comico.
Di qualunque genere di teatro si tratti – tragico, comico, religioso, sacro, dissacrante, satirico, surrealista) di certo il teatro è la forma d’arte più viva, quella in cui chi fa muovere e parlare i personaggi è un soggetto “travestito”; un individuo che si chiama attore (in greco “Hypokrités”) e porta una maschera (la “persona”, cosiddetta dalla fessura attraverso cui passa la voce). E questo è il punto più interessante per un discorso pedagogico.
Avviare dei ragazzi al teatro è un’opera di preziosissimo valore e di straordinaria potenzialità “psichedelica” (di “rivelazione della psiche”) . Attraverso la recitazione il ragazzo “ex-primit”, cioè fa “uscire da sé” ,dandovi forma compiuta, contenuti e istanze psichiche del profondo che abitano in lui e che fanno fatica a definirsi e affermarsi; senza rendersene conto, libera da catene e vincoli opprimenti la parte migliore e più autentica di sé. Naturalmente, oltre alla “terapia” e alla catarsi connessi al recitare, è fondamentale la qualità del lavoro: quando si tratta di un soggetto dotato di talento, se il maestro è in sintonia con l’allievo, il risultato è godibile anche per il pubblico. È una gioia delle più squisite vedere dei giovani esprimersi teatralmente. L’ho provata tante volte, e loro l’hanno provata con me, osservandosi a vicenda, e osservando me che recitavo con loro; dagli esperimenti con “La cantatrice calva” negli anni 80, ad “Alice nel paese delle meraviglie”, alle improvvisazioni del Librodramma, fino alla costituzione di una vera e propria compagnia, sempre costituita da miei studenti, con cui ho recitato anche in teatri importanti. Io con loro, non da “regista” ma da comprimario :in quattro, cinque o dieci eravamo sempre tutti “pari” nella felicità di una condivisione magica.
Così è stato per i miei “Pas de deux”, “Il gioco delle statue”, “La notte di Narciso” (nell’età aurea) e per i più recenti “Delitti esemplari”, “Il grande Gatsby”, “Ma che freddo fa”. Perché anche questo, per chi ci lavora, è il teatro: la grande gioia di giocare mettendo in gioco se stessi insieme ad altri compagni di viaggio, recitare la finzione meglio di quanto recitiamo la farsa della vita.

“La vita irreale”

La vita è un’irreale pantomima
che ci inganna e ci fa sembrare veri
sogni timori impulsi e desideri
nell’attesa che il falso si redima.
Per questo recitare la finzione
come realtà ci affascina e sublima
le futili ovvietà della ragione.