Un gentleman con l’energia di un ragazzino. Sting e l’elisir rock in una tazza da tè

Il commento di Kevin Ben Alì Zinati

Sting. Finalmente. Un concerto incredibilmente unico. E incredibilmente intimo. Uno degli Dei del rock ha suonato praticamente nel salotto di casa di ciascuno degli oltre settemila spettatori presenti venerdì in piazza Sordello a Mantova. Un ospite gradito ed educato: un vero englishman che sorseggiava acqua non da una bottiglia, ma da una tazza che riponeva delicatamente su una delle casse di fronte. Salve Sting, che cosa ci suona questa sera?

Nuvole rosse, il sole tramonta e lascia spazio alla luna, che, felice, sorride. Sono le 21.30 e Sting sale sul palco con un’energia da ragazzetto. Con un perfetto equilibro tra classici e pezzi nuovi – sta presentando il suo ultimo lavoro “57th & 9th” – Sting celebra la sua prima volta a Mantova con un repertorio che pesca a piene mani dai più grandi successi dei Police. Inizia potente con “Synchronicity II” e chiude delicato con “Fragile”, in mezzo un susseguirsi di capolavori di testo, musica ed energia da far invidia alle varie baby star in circolazione.

Gordon Sumner non sente tanto bene. Non sente tanto bene i suoi 65 anni suonati: sale sul palco e ringiovanisce. Musicalmente è mostruoso. Merito anche di quelli che più che musicisti sembrano alieni in una macchina musicale assolutamente perfetta. Su tutti Dominic Miller, lo storico chitarrista. “Fa un lavoro pazzesco: riempie ogni brano come nessun altro” sentenzierà qualcuno (un chitarrista invidioso) a fine concerto. Vocalmente poi, Sting è incredibile. Lo si intuisce quando ripropone brani impegnativi come “If

I Ever Lose My Faith in You” e “Message In A Bottle”, stupisce quando poi spara in sequenza “Englishman in New York” ed “Every Little Thing She Does Is Magic”. Abituato a sorprendere con concerti orchestrali e brani riarrangiati con strumenti atipici, questa volta Sting bada più ad un suono pulito, più rock ma comunque unico, dove anche brani più da atmosfera come “Desert Rose” reggono l’arrangiamento adattato ad una formazione ridotta (due chitarre, basso, batteria, fisarmonica e cori).

Gli accendini e i telefoni illuminano una splendida piazza Sordello a metà concerto, quando Sting fa (ri)innamorare tutti con “Fields of Gold” e “Shape of My Heart”. Pelle d’oca. Il cielo stellato brilla ancora di più con “Ashes to Ashes”, tributo all’immortale David Bowie cantato dal figlio Joe Sumner, e si scalda con un medley mozzafiato tra “Roxanne” e “Ain’t No Sunshine”.

Il rock più ballato lo lascia alla fine con la hit dell’ultimo album “I Can’t Stop Thinking About You” ma poi arriva lei. La canzone di Sting. Quella che hai dedicato a chiunque. Quella che non smetterà mai di incantare. Arriva “Every Breath You Take”. Da brividi sentirla dal vivo. Insieme all’ormai stranoto giro di presentazioni e saluti dei membri della band. Ciò che prima era solo un video su YouTube, ora è lì, a pochissimi metri. Finalmente.