«Chiedeva un plebiscito ha portato a casa un flop. Si apra trattativa seria»

Alfieri, D’Adda e Reguzzoni attaccano

«Maroni chiedeva un plebiscito, porta a casa un bilancio misero. Ora apra una trattativa seria, non propagandistica, altrimenti sarà battaglia». Non lascia scampo al governatore il segretario regionale del Pd , tra i sostenitori del non voto per l’inutilità della consultazione, che critica le inefficienze nella gestione delle operazioni e ribadisce l’analisi di una bocciatura dalle urne per il referendum lombardo: «Se paragoniamo il risultato lombardo a quello del Veneto, 20 punti di distacco ci fanno dire senza tema di smentita che è stato un flop per Maroni che aveva chiesto il plebiscito. Un bilancio misero».

Ora però si apre una nuova fase, e il Pd ribadisce la propria disponibilità a fare la sua parte sulla partita dell’autonomia regionale: «Sul regionalismo differenziato, siamo d’accordo, il Pd è compatto al di là delle indicazioni di voto e siamo pronti a muoverci in sintonia anche sui passaggi futuri – afferma Alessandro Alfieri – Maroni vuole la collaborazione con il Pd? Allora riprendiamo la via istituzionale: venga in Consiglio con una mozione per approvare l’intesa

e apriamo poi la trattativa con il governo. Se vuole invece continuare a fare campagna elettorale con i soldi dei lombardi, daremo battaglia». Alfieri detta le condizioni per un’iniziativa bipartisan, alla vigilia della prima seduta di Consiglio regionale, in programma oggi pomeriggio, sul tema: «Maroni lavori con le persone elette, non con quelle scelte sulla carta, dicendo questo sì, questo no. Se vuole fare sul serio noi ci siamo, ma non voteremo oggi una mozione a scatola chiusa, e non su tutte e 23 le competenze».

Il fronte democratico, assicura Alfieri, è unito: «I tentativi di Maroni di dividerci sono destinati a perdersi nella sua incapacità di pensare un gioco di squadra vero». Qualche appunto ai suoi compagni di partito che si sono schierati per il Sì lo fa la senatrice , che ha appoggiato la “linea Alfieri” del non voto: «Non capisco i miei che si sono innamorati di una battaglia di retroguardia, perché i cittadini hanno capito un’altra cosa, ovvero mantenere più risorse sul territorio, cosa che, come ha detto il ministro Martina, non è prevista dalla Costituzione. Anche perché i problemi della Lombardia sono ben altri rispetto all’autonomia, penso alla sanità, e chi, come il centrodestra, l’ha governata per più di 20 anni, avrebbe dovuto dare delle risposte. Il dato di fatto che esce dal referendum è che sei cittadini lombardi su dieci non ritengono l’autonomia un elemento per cui battersi».

E se D’Adda è convinta della «necessità di maggiore autonomia per tutte le Regioni, pur senza mitizzare i livelli intermedi», non si tira indietro di fronte alla possibilità di impegnarsi in prima persona per «aprire serenamente un dialogo. È ottimismo della ragione, ma temo non accadrà». Anche perché il risultato delle urne lombarde, da un lato, comporta il «rischio che durante la campagna elettorale il bene di tutti, l’autonomia, diventi un’arma da scagliarsi contro, e sarebbe il danno peggiore», dall’altro la «preoccupazione che si sia ingenerata nella gente che ha votato un’aspettativa troppo alta, impossibile da soddisfare per quel che riguarda la leva fiscale, che potrebbe creare un contraccolpo e una reazione di ulteriore sfiducia nei confronti della politica».

E dopo quella del Grande Nord di, la «richiesta di dimissioni» per il governatore arriva anche da Possibile, il movimento di Pippo Civati, nelle parole del suo referente varesino Stefano Catone: «La Lombardia ha risposto forte e chiaro: vuole l’autonomia, ma da Maroni e dalle cialtronerie leghiste».