I nostri figli non sono trofei da Facebook

L’editoriale di Laura Campiglio

Si prenda una mamma, una a caso, e le si chieda quale sia la cosa più importante del mondo. Invariabilmente costei risponderà: mio figlio. Ora si chieda alla stessa mamma (o a un’altra, è uguale) quale sia il posto più pericoloso al mondo: molto probabilmente la risposta sarà internet, che in effetti quanto a insidie se la gioca con il deserto di Ciudad Juàrez e Zara all’apertura dei saldi. A questo punto si consideri che la madre di cui sopra passa buona parte del suo tempo a postare foto del proprio figlio su Facebook, Instagram, Twitter e tutti i social del globo terracqueo: qualcosa non torna, vero?

A smascherare questa logica quantomeno paradossale è stata la polizia postale al grido di “Mamme, tornate in voi”, nel tentativo di sedare quel fenomeno di isteria collettiva noto come “sfida delle mamme”. Sì, perché da giorni imperversa su Facebook una catena di Sant’Antonio che chiama le orgogliose genitrici a mostrare al mondo intero tre foto che le rendano “felici di essere madri”, per poi nominare altre tre “grandi madri” e via così, in un crescendo rossiniano di pancioni,

seni allattanti, bimbi ignudi, prime pappe, primi passi e primi giorni di scuola che hanno invaso le bacheche di tutti noi. L’adesione è stata oceanica e così, mentre moriva Umberto Eco, il Paese si divideva sulle unioni civili e gli eletti del popolo si allenavano a pronunciare “stepchild adoption” senza troppo sfigurare, il web assisteva attonito a un profluvio torrenziale di foto di minori rese pubbliche nella più totale leggerezza, per non dire incoscienza.

«Se i vostri figli sono la cosa più cara al mondo, non divulgate le loro foto in internet – si legge nel comunicato pubblicato dalla polizia postale sulla pagina Una vita da social – considerate che oltre la metà delle foto contenute nei siti pedopornografici provengono da quelle condivise da voi». Vogliamo per una volta fidarci dell’allarme di chi, per lavoro, combatte tutti i giorni la pedofilia on line? Ma certo che no.
Le social mamme sono prontamente salite sulle barricate: allarmismo paranoico, hanno detto, che sarà mai una foto, lo fanno tutti, s’è sempre fatto. Come se l’amore genitoriale imponesse di esporre, anziché proteggere.

Ora, forse non ci saranno bande di pedofili appostate sui nostri account per carpire foto e informazioni sui nostri figli, ma di sicuro c’è quella curiosità occhiuta e spesso malevola che rappresenta, com’è noto, il motore primo e il principale fattore del successo di Facebook. Chissà, una zia arcigna potrebbe pensare che ecco, questo bambino ha sempre il cappotto slacciato, eppure nella foto c’è la neve. O magari la ex di vostro marito potrebbe dire toh, che nasone ha questa bambina, sicuramente l’ha preso dalla mamma. Già solo questo tipo di curiosità è una bruttura umana da cui i bambini andrebbero salvaguardati, figurarsi i casi più gravi a cui la polizia postale fa riferimento.

Insomma, i genitori dovrebbero tutelare il diritto alla privacy dei propri figli, non essere i primi a violarlo sistematicamente a colpi di selfie, salvo poi preoccuparsi – a volte pure troppo – dei mille pericoli in agguato là fuori. Iperprotetti nella vita e sovraesposti in rete: è questo il paradossale destino dei figli nati con lo smartphone in sala parto, creature innocenti che col cordone ombelicale ancora attaccato hanno già collezionato 300 like. Non stupiamoci se poi a quattordici anni saranno devoti al dio Instagram e al culto dell’apparire: gliel’abbiamo insegnato noi.

P.S. «Eh, la fai facile tu, vedrai quando avrai dei figli tuoi», mi ha risposto l’altra sera una mamma molto social. L’ho rassicurata sul fatto che ne ho già due, di figlie mie, e senza neanche una foto su Facebook: si può fare.