La politica nell’epoca della post-umanità. All’orizzonte non vediamo più nessun ideale

Il commento di Marco Tavazzi

La buona amministrazione non dovrebbe essere il fine ultimo della politica. Dovrebbe essere lo strumento di base: ovvero amministrare bene dovrebbe essere il presupposto basilare del fare politica (purtroppo sappiamo bene che troppo spesso non è sempre così). Il fine ultimo della Politica, con la P maiuscola, in una visione idealistica della vita, è l’elevazione spirituale dell’essere umano. La politica dovrebbe forgiare civiltà, creare le basi per la crescita sociale e culturale di una comunità. Occuparsi nel senso più alto del termine di quello che chiamiamo bene comune, e che è composto da esigenze materiali, ma anche spirituali.

La politica dovrebbe dare vita ad un ideale da seguire. Oggi questo modo di intendere il fare politica troviamo solo in poche oasi fortificate di idealisti. Di chi sa alternare le spesso lunghe e noiose e inutili riunioni di partito alla lettura di qualche sano libro. Viviamo in un’epoca di decadenza, questo è un dato assolutamente assodato. La domanda che dobbiamo porci è se esista ancora la possibilità di dare spazio, in quest’epoca del post-consumismo, della post-modernità,

delle ideologie morte e, per sintetizzare, di quella che rischia di diventare una sorta di post-umanità, ad un pensiero e quindi ad un’azione politica tesa alla rinascita di quella civiltà che ha avuto in Europa, e soprattutto nelle nostre terre, punte di grandissimo splendore nel passato. Un Rinascimento sociale e civile, che abbia come basi solide un ritorno a considerare l’attivismo politico, e quindi la gestione del potere nel momento in cui si viene eletti nelle istituzioni, in chiave spirituale.

Perché oggi siamo arenati nel più bieco materialismo dei conti da bottega, nella conta delle cadreghe. Un male che accomuna tutte le forze politiche.

E potrebbe essere anche la vera spinta per riavvicinare le persone al voto, per combattere l’astensionismo.

La vera forza che alimenta l’antipolitica è proprio questa: il livellamento generale di tutti i partiti, che parlano lo stesso linguaggio, abbastanza basso, e non sanno invece indicare una strada, una via, che vada oltre le solite quattro parole d’ordinanza, quasi tutte legate all’ambito economico, ma con modalità che lasciano il fattore umano nemmeno in secondo, ma proprio in ultimi piano.

Sarebbe auspicabile, persino bello osiamo dire, se in questa campagna elettorale delle regionali, che rispetto alle politiche sono sentite più vicine dai cittadini perché riguardano un livello istituzionale territorialmente più ristretto e quindi “a portata di mano”, chi è in corsa riuscisse a parlare anche di ideali. A proporre una propria visione di Lombardia come comunità umana. Ecco la vera sfida per sopravvivere alla globalizzazione, che sta estirpando le nostre radici. Non difendere un’identità, che ormai abbiamo perso. Ma ritrovare la nostra identità. E da qui ripartire.