«La targa per papà? Fatela, ma noi volevamo la verità»

Quarantadue anni fa una bomba uccise il fiorista Vittorio Brusa. La città vuole ricordarlo. Il figlio: «Mai considerati prima: perché?»

– «Una targa per ricordare papà? Se la volete, niente in contrario. Ma bisognava fare qualcosa prima. Per esempio, cercare il colpevole di questa tragedia e non archiviare il caso in un attimo». A parlare è Aurelio, il figlio di , l’uomo ucciso da una bomba nel mercato di piazzale Kennedy 42 anni fa. I fiori, coltivati da tre generazioni, sono l’eredità che Vittorio ha lasciato alla sua famiglia, insieme a una sete di giustizia che non si è

mai placata.
Il fatto di sangue risale al 28 marzo del 1974, quando Vittorio Brusa, florovivaista di 46 anni, ha trovato una «cosa che dava fastidio» nello spiazzo di piazzale Kennedy dove doveva allestire il suo bancale. Erano le otto del mattino e Vittorio era in compagnia della moglie , che ricorda il suo povero marito spostare l’ingombro. Doveva disporre i fiori ed era ignaro che in realtà quella «cosa» fosse un ordigno ben congegnato; una batteria di un’auto riempita di polvere esplosiva appoggiata al riparo che divide l’area ambulanti dalla ferrovia.

Lo scoppio fu accompagnato da un grande boato. Un albero venne sradicato. La moglie rimase ferita, così come altri ambulanti che stavano allestendo i bancali. Se quell’ordigno fosse esploso qualche ora più tardi, avremmo contato i mori. Chi è stato a mettere a punto un attentato così vile? Gli inquirenti seguirono la pista della matrice nera, dei fascisti che miravano ai treni per mettere a punto le loro stragi. Ma ancora oggi quella bomba resta di fatto senza un colpevole. L’idea di mettere una targa alla memoria di Vittorio Brusa in piazzale Kennedy fa capo a , che afferma: «Ricordarlo non riporterebbe Vittorio Brusa in vita, ma servirebbe per ricordare quanto accaduto a tutti coloro che non sanno cosa è successo, come i giovani studenti, o che lo hanno dimenticato. Stiamo parlando di un uomo senza colpe ucciso per motivi che a più di 40 anni di distanza risultano essere insensati e ridicoli».

Continua Gregori: «Non deve più succedere, il ricordo di Brusa non può essere cancellato e rimanere nella memoria solo dei suoi cari». Fino a formulare una proposta: «Alla fine di marzo il comune può facilmente organizzare una cerimonia e la posa di una targa in perenne memoria di un cittadino senza colpa».
«La morte di mio padre fa ancora male – dice il figlio Aurelio – Era un uomo tutto lavoro, mercato, con l’unico diversivo della caccia. Quando è morto ci hanno detto di trovare noi una spiegazione, come se fosse nostra la colpa di quello che era successo». E ancora: «Io, essendo figlio unico, ho avuto il compito di mandare avanti la “baracca” alla morte di mio padre. Ciononostante mi è arrivata la cartolina per il militare, dovere da cui mi hanno esonerato solo dopo quattro anni di ricorsi. La targa adesso va bene, ma perché nessuno ci ha mai considerato prima?». L’azienda di florovivaismo va avanti ancora oggi a Casale Litta, grazie ai due figli di Aurelio che non hanno mai potuto conoscere il nonno ma di cui oggi ripercorrono le orme. L’impegno di una famiglia onesta da una parte. Dall’altra un fatto troppo grande, che secondo , giornalista e scrittore che seguì il caso all’epoca, «segnò il passaggio dallo squadrismo all’eversione», quindi alla strategia della tensione. Un fatto a cui tutto il mondo partecipò grazie alla foto scattata da, acquistata dall’Associated Press e pubblicata da tutti i giornali italiani ed esteri. Uno scatto di dolore senza tempo.