Lo Spaceboy della galassia di Vasco. «Tutto cominciò per colpa di papà»

Vince Pastano, chitarrista del Blasco ora in tour con Luca Carboni, si racconta a La Provincia di Varese: «A 4 anni vidi The Wall e decisi il mio destino. Il palco trema, tu sei in apnea e non puoi che godertela»

Perché c’è sempre, nell’esistenza di chiunque, la telefonata che ti cambia la vita. A lui è arrivata nel 2014, e dall’altra parte del telefono c’era un certo Guido Elmi. «Te la senti di venire in tour con Vasco?». Ed eccolo lì: alla destra della più grande rockstar italiana, da due anni, c’è lui. . Uno che si definisce «un miracolato» ma che in realtà a soli 37 anni ha un curriculum che in Italia pochi chitarristi possono vantare.

Uno che la gavetta, la fatica, il timore di non farcela li ha avuti come “migliori” amici per un sacco di tempo. Uno che, ancora adesso che chiunque al posto suo si sentirebbe un semidio, macina serate al limite del pareggio economico pur di continuare a fare quello che gli piace, quello in cui crede. In questi giorni Vince è appena partito per il Pop Up tour di Luca Carboni, della cui band fa parte dal 2004, su e giù per l’Italia. E a giugno sarà nuovamente accanto a Vasco per le quattro date allo stadio Olimpico di Roma del Live Kom 016. Tutto ebbe inizio con una chitarra. Ovviamente. Ma una chitarra intoccabile. E un papà speciale, innamorato della Musica con la m maiuscola: «Mi portò al cinema a 4 anni a vedere “The Wall” di Alan Parker – ricorda oggi Pastano – Ancora adesso mi ricordo la scena dei martelli. Da lì, la folgorazione».

Vince con Stef Burns sul palco di San Siro durante il Live Kom 014

Vince con Stef Burns sul palco di San Siro durante il Live Kom 014

Ho imparato a memoria la discografia dei Pink Floyd prima di saper leggere e scrivere. All’età di 9 anni i miei mi fecero prendere le prime lezioni di chitarra. Non ho più smesso. Ho fatto il conservatorio, ma non mi sono diplomato perché il mio insegnante si rifiutava di farmi suonare la chitarra elettrica.

Fin da piccolo dicevo a tutti che da grande avrei fatto il musicista. Uno dei primi ricordi che ho è la meravigliosa chitarra in radica a 12 corde che papà teneva religiosamente appesa al muro. Io la guardavo ogni giorno, e lui mi ha sempre vietato anche solo di sfiorarla perché era il triplo di me. Crescevo, e quella chitarra era sempre lì. Ebbene, oggi quella chitarra è a casa mia, a Bologna: l’ho fatta riaccordare ed è quella che suono nel video di “Jumi Juju” (uno dei singoli del primo album di Guido Elmi di cui Pastano ha seguito produzione e direzione artistica, ndr). Ecco, quel video personalmente è un omaggio a mio padre.

I musicisti della mia prima band (i Quasar) facevano l’università a distanza e mi hanno chiesto di seguirli. Avevo qualche risparmio racimolato dando lezioni di chitarra, a Grottaglie non vedevo spiragli per fare della mia passione il mio mestiere…mi sono detto: «Vince, o la va o la spacca». Sono partito.

All’inizio non è stato facile. Mi sono mantenuto lavorando nel reparto freschi di un cash&carry. Con la band condividevamo tutto, dalla casa al palco. Un’epoca memorabile: facevamo serate di omaggio a Ozzy Osbourne, ci esibivamo con le bare sul palcoscenico supportati da un pubblico più folle di noi. A Bologna all’epoca si suonava davvero tantissimo e così dopo qualche tempo mi licenziai: non reggevo più il ritmo di due ore di sonno a notte.

Conosco Stef dal 1999, ero e sono un suo grande fan. Lo incontrai ad una sua clinic e lui notò qualcosa in me. Per fortuna se ne è ricordato nel corso degli anni, fino a quando mi presentò a Guido Elmi dicendogli: «Se cerchi un chitarrista dai suoni particolari, eccoti Vince». Abbiamo iniziato così a collaborare su un progetto televisivo per Rai5; un anno e mezzo dopo mi chiese di scrivere assieme l’interludio per il tour del 2013 che stava iniziando a preparare con Vasco. Dopo qualche mese mi ritrovai in studio ad incidere “Cambiamenti”, poi “Dannate Nuvole”. E nel 2014 la grande chiamata per il tour.

Semplice: sono sparito. Ho spento il computer, staccato il telefono. E mi sono messo a studiare come un mulo. Ci tengo però a dire una cosa: per me non è una vittoria aver preso il posto di Solieri, ma un grande onore e un’enorme responsabilità. Stiamo parlando di un gigante della musica, che ha composto pietre miliari come “C’è chi dice no” tanto per dirne una. Ci sono tanti bravissimi chitarristi sulla piazza e io mi sento un miracolato ad essere finito accanto a Vasco. Mi dispiace quando si scatenano queste “guerre” perché non c’è, non ci deve essere gara tra i musicisti.

Non dimenticherò mai la mia “prima” con Vasco. Roma, stadio Olimpico. Dai camerini al palco c’è un percorso lunghissimo. Io seguivo la band, avevo già gli in-ear nelle orecchie e sentivo il mio respiro amplificato. Passo dopo passo ci avvicinavamo al palco, il rumore del pubblico aumentava, aumentava…e i miei sospiri di conseguenza. Al che mi sono detto: «Vince, stai calmo. Non rovinarti questo momento». Il backliner mi ha messo addosso la chitarra e io sentivo il palco che tremava per le urla della gente. I primi cinque pezzi li ho suonati in apnea. Poi Vasco si è girato e mi ha sorriso… da lì è stata solo una gran figata.

Io suono per la musica, ciò che mi emoziona è la musica. Certo, uno stadio comporta una preparazione e un autocontrollo sul quale si lavora sodo nelle settimane di prove. E poi ogni genere musicale necessita della sua spazialità.

Il problema non riguarda solo il sistema musicale, ma tutto un nuovo modo di concepire la vita. Perché dovrei spendere dei soldi per andare a un concerto quando in tempo reale c’è qualcuno che mi posta i video su Facebook? Detesto passare per uno schizzinoso retrò, ma mi domando: cosa ci provi ad andare a un concerto e guardartelo dallo schermo di un cellulare? Davvero, non voglio fare il nostalgico anche perché non mi piace e mi fa pure tristezza. Ma siamo appagati dal virtuale, e mi ci metto anch’io. Mi auguro davvero che il gusto di viversi meno momenti speciali, ma autentici, torni ad essere la regola.

Quello ha dato la mazzata letale. È evidente che chi scarica illegalmente non ha un fratello musicista, altrimenti capirebbe il danno che sta facendo… Ma non solo. Penso alle scalette dei concerti. Fino agli Anni 90 qualsiasi artista, anche e soprattutto i più grandi, quando partiva con il tour promozionale di un nuovo album lo suonava tutto ed era giusto così. Adesso è utopia, perché la gente arriva ai concerti senza conoscere il disco. La musica è talmente diventata un prodotto di consumo che ti prendi solo quel che vuoi, come vuoi. E allora si tende sempre più a puntare sui classiconi, salvo poi sentirsi accusare di “fare sempre lo stesso repertorio”.

Vi suonerà strano, ma pochissima musica chitarristica. Adoro i pianisti, come Max Richter, o la musica di Arvo Part. E sono uno dei tanti orfani di David Bowie… Amo gli artisti camaleontici. Odio chi sforna due album di fila uguali.

Certo, è “Siamo Soli”.

Senza dubbio “Marea”.

Mi piacerebbe diventare un produttore artistico di fama. Possibilmente con la mia Liquido Records. Sarebbe davvero la vittoria della musica su ogni logica!