«Minacciava la moglie Stefania per avere soldi dalla sua famiglia»

Caso Amalfi. Nuova udienza per il processo con Argenziano imputato

«Sono andato a cena da loro qualche volta. L’ho sentito minacciare Stefania perchè chiedesse soldi alla sua famiglia». Nuova udienza per il processo che vede Alessandro Argenziano, varesino di 40 anni, imputato per l’omicidio della moglie Stefania Amalfi, 28 anni, trovata morta il 26 aprile 2015 nell’abitazione di via Conca d’Oro a Varese dove la coppia viveva. Per l’accusa Argenziano ha soffocato la moglie (4 mesi dopo le nozze) inscenandone il suicidio. Sempre per la procura Argenziano avrebbe somministrato alla consorte dei farmaci per indebolirla e sopraffarla con facilità.

Il movente sarebbe economico: il quarantenne avrebbe ucciso per incassare l’assicurazione sulla vita della moglie pari a circa 30mila euro. Ieri il pm Antonio Cristillo ieri ha chiamato a deporre una serie di testimoni con il preciso scopo di confermare non soltanto la brama di denaro dell’imputato, ma anche la sua indole violenta, minacciosa e manipolatrice. Ed è stato un amico di famiglia a deporre confermando quanto già detto dai familiari della Amalfi ovvero che Argenziano minacciava di morte Stefania davanti ai parenti di lei per farsi dare del denaro e minacciava la moglie di ucciderle i parenti qualora lei non fosse riuscita a farsi consegnare del denaro da loro. «Sì l’ho sentito minacciare Stefania per farsi consegnate denaro dalla madre», ha detto il teste. «Lo ha fatto in più occasioni». E ancora al banco è salita una delle sorelle di Amalfi che ha ribadito come Stefania avesse confidato alla famiglia che il marito era violento con lei «tanto da costringerla ad avere rapporti sessuali anche sette o otto volte al giorno». Una Stefania succube, dunque, una moglie vessata da un manipolatore, secondo l’accusa. Capace persino di cercare di circuire un testimone di Geova, chiamato ieri a deporre in aula davanti alla Corte d’Assise presieduta da Orazio Muscato. «Mi aveva avvicinato dichiarando di volere avvicinarsi alla Bibbia. Di voler studiare il sacro libro», ha spiegato il testimone. Argenziano, però, a quanto pare non era stato folgorato dalla fede. «Iniziò a farmi richieste sempre più pressanti – ha detto il teste – voleva lo portassi in stazione, gli facessi la spesa o gli dessi del denaro». Non un fratello di fede dunque ma un maggiordomo sino a quando il malcapitato non ha detto ad Argenziano «basta. Gli ho detto che le sue richieste erano pressanti e inopportune – ha spiegato il teste – lui ha ammesso di non aver mai voluto studiare la Bibbia». Anche in questo caso la procura ha segnato un punto. L’ipotesi accusatoria infatti è che Argenziano sia violento e capace di qualunque cosa per soddisfare la sua ossessione verso il denaro. «Dopo che gli ho detto di smetterla con quelle richieste sono iniziate le minacce – ha detto il testimone – ricevevo messaggi sul telefono dal tenore inquietante: te la faccio pagare, ti aspetto qui sotto, sei finito». L’Argenziano tratteggiato nell’udienza di ieri (dai testimoni dell’accusa va ricordato) rispecchia in tutto l’uomo descritto nell’ordinanza di custodia cautelare che lo ha portato in carcere. Si torna in aula il 25 gennaio.