Sanremo, nove chitarre. E la vittoria di Varese

Chicco Gussoni, chitarrista bustocco, ha collaborato con Ilacqua e Chiaravalli al brano che ha vinto il Festival

Undicesima volta nell’Orchestra Rai del Festival di Sanremo, nove chitarre al seguito perché «ognuna di esse ha un suono particolare e unico» e quest’anno pure la vittoria nella finalissima. Già, perché quella che in Occidentali’s Karma di Francesco Gabbani ha fatto ballare l’Ariston, mezza Italia e pure una scimmia è una delle sue… nove. Chicco Gussoni, bustocco d’origine, è il terzo moschettiere varesino che con la sua chitarra ha contribuito all’ultimo successo al Festival insieme ai varesini Fabio Ilacqua e Luca Chiaravalli. Chitarrista sopraffino (lavora stabilmente, tra gli latri, anche con Nek) è l’ennesima stelletta d’orgoglio che Varese si è appuntata al petto con questo Festival. E chi meglio di lui, dunque, può raccontare a noi che l’abbiamo vissuto da casa seduti sul divano che cosa sia davvero Sanremo, tra prove, guardie, luci e spartiti.


Varese ha stravinto. Con Luca Chiaravalli siamo amici e spesso quando fa delle produzioni mi coinvolge per realizzare le chitarre. Cerco di mettere ordine a quelle che sono le sue idee o provo a tradurle suonando quello che lui ha in testa. Poi do consigli, ci confrontiamo e alla fine si porta a casa il brano. Per quello di Gabbani mi avevano chiesto qualcosa in stile Nile Rodgers. È un chitarrista ritmico e un produttore eccezionale. La sua chitarra è quella dei Daft Punk. Luca e Fabio e tutta la produzione volevano un suono alla Nile Rodgers ed è venuto fuori il brano che ha vinto Sanremo.


Sono undici anni che, come chitarrista, faccio parte dell’Orchestra della Rai che suona al Festival. È molto soddisfacente. Spesso capita di dover suonare generi musicali che non sempre ti piacciono o che non ti appartengono del tutto, però è indubbiamente la produzione italiana più importante. Ormai è ad un livello di prestigio molto alto, quest’anno circa 12 milioni di persone a sera erano davanti alla tv. Anche se devo dire che quest’anno il regista ha dato priorità al cantante o alle scenografie più che all’orchestra. Noi suoniamo dal vivo! Ovviamente scherzo, hanno fatto un gran lavoro ed essere lì, ogni anno, è sempre un’esperienza appagante e magica.


Bisogna avere una grande conoscenza musicale perché ti trovi a dover accompagnare ragazzi giovani con canzoni una diversa dall’altra. Poi magari arriva Zucchero, Al Bano, Mika, Ricky Martin e devi accompagnare anche loro. Quindi ci vuole una certa preparazione, bisogna saper leggere la musica perché tutte le partiture sono scritte. Importantissima però la versatilità. Bisogna suonare generi diversi e ognuno di essi ha una sua modalità: c’è il modo per suonare gli anni 70,

gli anni 80 e devi conoscere le sonorità di quegli anni lì per poter riprodurre un suono che riporti a quel mondo. Quest’anno abbiamo fatto un omaggio a Giorgio Moroder, un mito della storia della musica che ha scritto e prodotto brani storici di Donna Summer, la colonna sonora di Top Gun, Flashdance… What A Feeling e tutti i suoni che dovevamo suonare dovevano essere esattamente quelli creati da lui e se non lo conosci non funziona.


C’è da dire che nessuno ha mai criticato l’Orchestra o il modo in cui suoniamo e questo fa piacere. Critiche sui brani? Bisogna anche essere consapevoli che la musica è un po’ cambiata. Trovo che la musica oggi si sia un po’ appiattita, negli anni 70-80 si diversificava di più. Chi faceva il musicista aveva una conoscenza, ora molte produzioni spesso vengono ricreate con computer e software dove tutti posso mettere insieme loop e suoni.


La musica ha sempre creato cose che la gente chiedeva quindi se c’è tanta di questa musica adesso vuol dire che funziona. Una volta, quando usciva il disco del tuo beniamino, c’era eccitazione per comprare il vinile e per poi metterlo su: mentre girava guardavi il piatto quasi aspettando che i musicisti ti uscissero davanti suonare. Con internet, l’ipod e l’mp3 c’è stata molta meno attenzione a tutto quello che era il contorno dell’ascoltare un disco. Gli hard disk hanno dato quantità e non qualità. E vince ciò che piace. Gabbani, per esempio, nella sua semplicità arriva alla gente e così ha vinto.

Dipende molto anche da chi è il direttore artistico e dalla commissione che decide i testi. In una situazione con Carlo Conti, che è più nazional popolare come tipo di conduzione, ho visto che il carnet di cantanti era un pochino più leggero e con cose tipiche del Festival: c’era Al Bano ma anche Gigi D’Alessio con anche cose più legate ai giovani.


Facciamo sempre due settimane di prove a Roma, con l’Orchestra e i maestri e iniziamo ad imbastire le canzoni, perché sono inedite. Le prove sono sempre a porte chiuse, ci sono guardie giurate, pass: insomma, non si entra facilmente alle prove. Tutto il pacchetto della produzione dura circa 40 giorni. Oltre alle canzoni, poi, ci sono da preparare anche gli stacchetti, le canzoni degli ospiti, i balletti. Tutto quello che suoniamo però è dal vivo. Solo Robbie Williams e Ricky Martin hanno cantato in half playback ovvero con la base: il resto, tutto live.


Quando si è lì ognuno, in base alla sezione in cui suona ha le note scritte e deve suonare quelle. La parte ritmica, di cui faccio parte, ha le note scritte ma anche riferimenti alle sonorità richieste: ogni pezzo ha la sua sonorità e infatti con me porto almeno 9 chitarre perché ogni strumento ha un suono particolare adatto a cose diverse. Comunque il lavoro per ogni brano è minuziosamente studiato e verificato. È davvero un orologio, non c’è nulla di improvvisato. Anche il lavoro del regista, con le inquadrature, cambi, luci: è proprio un lavoro d’équipe.

Adesso ho diversi progetti a cui collaborerò poi ripartirà il tour con Nek. Inizieremo il 2 marzo con le prove poi saremo in giro a partire da maggio. Saremo protagonisti con un po’ di date, il 21 maggio saremo poi all’Arena di Vernoa, che è già sold out, mentre poi partirà un tour nei teatri.