Si apre l’archivio della Guatelli. La discepola di Piero Chiara

Il 28 gennaio ai Musei Civici verrà presentata la “biblioteca” delle opere della poetessa varesina

Il fascino discreto della poesia femminile di Luciana Guatelli incanta Varese. Sabato 28 gennaio, infatti, alle ore 10.30, presso i Musei Civici di Villa Mirabello, il Sindaco Davide Galimberti e l’Assessore alla Cultura Roberto Cecchi, nell’ambito dell’evento “Il fuoco nascosto”, saranno i padrini della presentazione dell’archivio della poetessa Luciana Guatelli (Varese 1927 – 1983) donato al Comune di Varese. Saranno inoltre presentati inediti della poetessa: il romanzo “Torre d’avorio” e la raccolta di poesie “Ombre cinesi”, opere pubblicate dalla Nuova Editrice Magenta.

La Guatelli era una delle autrici incluse nell’antologia “Quarta generazione”, di cui la stessa Nem ha curato una ristampa anastatica. La studiosa Serena Contini, che ha pubblicato un testo sulla poetessa nel volume “Terra e gente”, presenterà l’Archivio Guatelli: seguirà poi un prezioso ricordo a cura della figlia Licia Battistella e dell’amica e collega Gisa Legatti, l’intervento dell’editore Dino Azzalin e del poeta e critico letterario Mario Santagostini.
«Ho conosciuto Luciana Guatelli attraverso Bruno Conti che dirigeva allora l’editrice Magenta – spiega Azzalin – e l’avevo incontrata nella sua casa di via Macchi Zonda, nell’estate del 1978». Per dirla con i suoi versi, Luciana Guatelli era “un falco dalle docili piume”.

Poetessa varesina, nata nel 1927, Guatelli aveva scelto di vivere ai margini della città, nel quartiere di Biumo Inferiore, si muoveva a piedi e amava andare in autobus per raggiungere la scuola, perché, prima di tutto, Luciana Guatelli era un’insegnante. Solitamente in tinello, dove vi era un piccolo scrittoio, a ribaltina sempre aperta, custodiva i libri di scuola, i pacchi di compiti e, soprattutto, un quaderno su cui scriveva.

Difficilmente, ricorda la figlia, sua madre parlava delle cose che scriveva, le considerava sempre prime prove, molto partecipate, si capiva, sotto traccia, che stava lavorando, perché c’era un quaderno che girava per casa. «Era giustamente gelosa dei suoi spazi – sottolinea Licia- scriveva a mano, poi faceva leggere le poesie a mio padre Aldo a cui chiedeva le sensazioni e, quando era sicura, batteva il componimento su una macchina da scrivere tedesca, con un coperchio di bachelite,

anni ’50, di un verde militare».
Il più delle volte si appartava nel suo studio a scrivere, uno studio tappezzato di librerie ad ante di cristallo perché temeva la polvere. «Era bellissimo perdersi per me fanciulla tra quei libri, che stavano in tre ordini su palchetti profondi, e mi arrampicavo per la scala. Una volta abbiamo deciso di stendere un inventario, sistemare tutto come una biblioteca».
Eppure, se non fosse stato per Piero Chiara forse le sue poesie non avrebbero raggiunto “Quarta generazione”, al fianco di poeti del calibro di Merini, Pasolini, Orelli.
Perché fu proprio con una matita rossa, come sottolinea Serena Contini ne “Gli anni di quarta generazione” (Nem) che Chiara, nel luglio del 1952, affiancò al numero trenta dell’elenco di poeti steso da Erba il nome della poetessa. I nomi furono vagliati dai due curatori più volte e Chiara riuscì ad inserire Guatelli con quattro sue liriche: “Inverno a Cesenatico”, “Come innocente fiore”, “Disperso in questa morte” e “Ci infastidiscono i giorni”.

Sicuramente Chiara riveste un ruolo importante come viatico alla scrittura poiché «la stimava molto – annota Licia – avevano un profondo rapporto intellettuale, lui l’ha sempre sostenuta, ha inteso il suo scrivere, la sua poesia, vedendo in lei la vera stoffa del poeta».
Lo scrittore luinese, nella recensione a “S’inazzurra la costa”, riconosce anche un suo percorso di affinamento nella creazione letteraria, come «l’urgenza nell’uscire dalla domestica stanza dei sogni poetici d’ogni fanciulla, per iniziare il costoso tirocinio dell’arte». Un percorso, per ammissione della stessa poetessa, di passaggio da “un riflettersi di stati d’animo”, a una poesia “più oggettiva, il vedere me stessa anche vicino agli altri, uscire dal rifiuto che è sempre stata la mia caratteristica”.
Una poetessa, che secondo l’editore Azzalin, assomigliava a Karen Blixen, “era una donna estremamente colta e attenta a tutto ciò che accadeva e molto sensibile alla vita degli uccellini e alla natura”.