Sorpresa sulla chiesa di Sant’Imerio: «È l’edificio più antico di Varese»

I nuovi dati in possesso degli studiosi potrebbero riscrivere la storia della Città Giardino

– Ci sono notizie che farebbero la felicità di qualsiasi studioso, ripagando anni e anni di ricerche, ipotesi, studi, fatiche: quella che Enrico Marocchi e Santo Cassani daranno al pubblico a Villa Cagnola a Gazzada, durante il convegno di questa sera (alle ore 20.45, organizzato da Provincia di Varese, Regione Lombardia, UTR Insubria) sulla presentazione del progetto della Via Francisca del Lucomagno, potrebbe addirittura riscrivere la storia di sant’Imerio, uno degli edifici religiosi più belli e misteriosi di Varese,

decretandolo in assoluto come il più antico della città. I due studiosi, durante la serata, illustreranno la redazione definitiva del volume “Bosto – Un lungo cammino di fede”, la summa del loro pensiero intorno all’incredibile linea di fede che congiunge la castellanza di Bosto con la Boemia, da cui giungevano Imerio, il compagno Gemolo e il vescovo che i due soldati scortavano per andare in pellegrinaggio a Roma, e a cui erano approdati, con percorso inverso, il beato Cristoforo Piccinelli e il martire Gaspare Daverio. In questo testo è contenuto un autentico scoop: la chiesa di sant’Imerio sarebbe molto più antica del X secolo, datazione concordemente accettata sino ad oggi.

«Secondo la nostra ricostruzione – scrivono i due studiosi – la chiesa dovrebbe essere stata edificata, come molte altre del circondario, nel periodo Longobardo per azione degli Agostiniani. Le dimensioni originali di tale chiese erano di circa metri 6 x 9 ed erano edificate presso una fonte d’acqua. Avevano una sola navata, un tetto a capanna e, alcune, un abside con altare».

Da tempo Marocchi e Cassani sostengono questa affascinante teoria, mai peraltro confermata dalle imprese che curarono i due restauri nel secolo scorso: ma ecco che improvvisamente arriva una notizia che ha il pieno sapore del ritrovamento rocambolesco e che diventa la testimonianza insperata in supporto alle loro battaglie. Si tratta di un foglio di carta di quaderno a quadretti vergato a mano in bella calligrafia e ritrovato in una bottiglia di vetro dall’architetto Claudia Vignolo Villa, responsabile con Carlo Segre del cantiere del 1980: tale bottiglia, murata nelle fessurazioni delle pareti della chiesa, affiorò durante i restauri e venne conservata, è il caso di dire religiosamente, dalla Villa per più di tre decenni: però i segreti, si sa, prima o poi vanno rivelati.

«Varese, 16 giugno 1934. Rossi Vittorio, nato ad Arsago il 26 luglio 1908 e Bondi Ariodante, nato a Codigoro (Ferrara) il 3 luglio 1898 dipendente della ditta Vanoli di Milano restaurarono i dipinti di questa chiesa che la Sovrintendenza giudicò del 900 dopo Cristo; ma che secondo noi lascia molti dubbi perché molto più avanzata; da a vedere che chi studia a tavolino l’arte (e qualunque mestiere) ha meno pratica che chi lavora. Tanto perché chi lavora sia un po’ più apprezzato».

Questo il testo del messaggio firmato di pugno dai due noti restauratori dell’epoca, che, in buona sostanza, forniscono una loro autorevole ipotesi sulla datazione della chiesa allora titolata a san Michele: nel 1934 si chiudevano i sette lunghi anni di restauro che avevano portato nel 1928 al ritrovamento del sarcofago del martire pellegrino, al quale l’anno successivo sarebbe stato consacrato l’antico tempio dal cardinal Schuster.

Per i due Indiana Jones di Bosto non c’è dubbio: “avanzata” significherebbe “più indietro nel tempo”; e per amor di verità, nella bottiglia è stato trovato anche un secondo foglietto con un elenco di belle donne varesine messe a confronto con colleghe di tutt’Italia: ma su questo, ride Cassani, è decisamente meglio astenersi dall’esegesi.