«Ti odio». La tragedia in due parole e tre coltellate

Alberto Bigioggero, super testimone del processo Uva, ha ucciso il padre dopo una lite. L’ha colpito, poi ha chiamato il 118. E ha confessato

«Ti odio». Due parole, poi le coltellate. Così , 43 anni, il super testimone del caso Uva, ha ucciso ieri pomeriggio il padre , 78 anni, nell’abitazione di famiglia in viale dei Mille. Il figlio ha poi chiamato il 118 chiedendo soccorsi per il padre ormai ferito a morte: quando i medici sono arrivati sul posto non c’era più niente da fare. Il pensionato, che ha lavorato una vita come i piegato, era morto.

Sul posto sono intervenuti gli agenti della squadra mobile della Questura di Varese, coordinati dal pubblico ministero , arrivato immediatamente insieme al medico legale.

Caso nazionale

Biggiogero junior è diventato celebre dal 2008 per aver testimoniato in seno al processo per la morte di , artigiano di 43 anni, deceduto il 14 giugno 2008 all’ospedale di Circolo di Varese dopo essere stato sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio.

Uva con Biggiogero era stato fermato in via Dandolo da poliziotti e carabinieri: era ubriaco, come l’amico, e buttava transenne in mezzo alla strada. , sorella di Giuseppe, da sempre sostiene che il fratello morì in seguito a percosse da parte dei carabinieri e poliziotti che quella notte lo fermarono. Sono stati tutti assolti, di lesioni non si è trovata traccia, ma Biggiogero testimoniò al processo: disse di aver sentito Giuseppe gridare. Chiamò il 118 dalla caserma di via Saffi dicendo: «Venite stanno massacrando un ragazzo». Quello di Uva, insieme al caso Cucchi, fu processo che ebbe rilevanza nazionale.

Senza premeditazione

Alberto Biggiogero ieri ha ucciso il padre a coltellate: almeno tre fendenti. L’omicidio è avvenuto poco dopo le 18.30. Il quarantatreenne a quanto pare odiava il padre. Un padre “normale” che cercava di aiutare il figlio con dipendenza da alcol e droga. Per gli inquirenti l’odio covato da Biggiogero junior è stata la molla che ieri ha armato la mano del quarantatreenne.

Non un omicidio premeditato, stando ai primi riscontri, ma un delitto d’impeto. Padre e figlio avrebbero litigato per ragioni sconosciute al momento. Un litigio violento. Il figlio avrebbe a quel punto afferrato un coltello da cucina e colpito il padre con almeno tre fendenti, di cui uno al collo, rivelatisi letali. L’aggressione è avvenuta nel soggiorno di casa. I Biggiogero possiedono due appartamenti uno sopra l’altro. Quello al piano terra era vuoto al momento (ci viveva Alberto per un periodo ma era poi tornato ad abitare con mamma e papà), quello al primo piano ospitava l’intera famiglia. E lì nella prima stanza dopo le scale, il soggiorno appunto, s’é consumato il delitto. In casa c’era anche Bruna, la madre di Alberto, da tempo malata. Non è chiaro se la donna abbia assistito al delitto. È certo che il figlio non l’ha toccata, accanendosi sul padre.

Resosi conto di quello che aveva fatto, è stato lo stesso Alberto a chiamare il 118: quando i medici sono arrivato non c’era più nulla da fare. Biggiogero è stato arrestato e portato in carcere a Varese. È accusato di omicidio volontario aggravato dal legame parentale. L’omicida avrebbe confessato: avrebbe già ammesso di aver ammazzato il padre. Ma le ragioni che hanno scatenato la lite non sono note. Il padre da anni combatteva con quel figlio complicato. In bilico tra alcol e droga, aspirante attore arrivato ad avere una comparsata in uno degli episodi della serie di Maccio Capatonda, problematico e che aveva tentato il suicidio in due occasioni. Ma che mai prima di ieri aveva avuto comportamenti violenti, almeno noti, nei confronti di altri e in particolare dei genitori.

Fu proprio il padre Ferruccio quella notte del 14 giugno ad andarlo a prendere in caserma dai carabinieri di Varese. In aula il padre smentì tutte le dichiarazioni del figlio. Il coltello è stato ritrovato. Sono in corso accertamenti scientifici ma l’accaduto per gli inquirenti è chiaro.