37 anni fa la scoperta del relitto del Titanic

Il famosissimo transatlantico, fra mito e leggenda

Il relitto del Titanic è ciò che rimane del transatlantico britannico RMS Titanic, affondato durante la notte tra il 14 e il 15 aprile 1912, mentre eseguiva il suo viaggio inaugurale, a seguito dell’impatto con un iceberg. Venne scoperto il 1º settembre 1985 durante una spedizione guidata dal ricercatore Robert Ballard. Si trova a 486 miglia da Terranova ed è adagiato sul fondale fangoso dell’Oceano Atlantico ad una profondità di 3810 m.

Il desiderio di trovare il relitto del Titanic nacque già poco dopo l’affondamento, ma nessun tentativo venne compiuto per diversi decenni. I primi a tentare di localizzare il relitto furono D. Michael Harris e Jack Grimm, senza successo. Le loro spedizioni riuscirono però a produrre una mappatura abbastanza dettagliata dell’area in cui la nave era affondata.

Era chiaro che la posizione segnalata nelle richieste di soccorso del Titanic era imprecisa, il che rappresentava una delle maggiori difficoltà della spedizione perché aumentava le già ampie dimensioni dell’area di ricerca. Le informazioni raccolte dalle spedizioni precedenti vennero utilizzate da Robert Ballard per tentare l’impresa. Egli utilizzò una nuova tecnologia chiamata “Argo / Jason”: si trattava di un sottomarino controllato a distanza chiamato Argo, dotato di sonar e telecamere, collegato ad un robot chiamato Jason, che poteva raccogliere eventuali campioni. Le immagini catturate dal sottomarino venivano trasmesse a una sala di controllo sulla nave dei ricercatori, chiamata Knorr.

Dopo una settimana di ricerche infruttuose, alle 12:48 di domenica 1º settembre 1985, sulle schermate dello Knorr iniziarono a comparire alcuni detriti. Il primo ad essere identificato fu quello di una caldaia, identica a quelle mostrate nelle immagini del Titanic risalenti al 1911.

Il giorno seguente venne individuata la parte principale del relitto, rendendo quindi possibile visualizzare le prime immagini del Titanic a 73 anni di distanza dal suo affondamento.

Il relitto del Titanic, fin dalla sua individuazione, si è sempre presentato in condizioni di conservazione pessime. Prima della scoperta si riteneva che il freddo (l’acqua a quella profondità ha una temperatura di 4 °C), il buio, le correnti di fondo e la scarsità d’ossigeno disciolto nell’acqua avrebbero preservato lo scafo dalla ruggine, ma la realtà si presentò ben differente. Vennero smentite le speculazioni degli esperti che – ad esempio – dichiararono che il relitto del Titanic sarebbe stato in condizioni migliori di quello dell’Andrea

Doria, in quanto la differenza temporale di permanenza sul fondo oceanico (il Titanic affondò ben 44 anni prima dell’Andrea Doria) sarebbe stata compensata dall’assenza di micro-organismi decompositori alle elevate profondità (la tomba del Titanic è a 3810 m di profondità, mentre l’Andrea Doria giace a soli 75 m sotto il pelo dell’acqua).

Diversi scienziati, tra cui Robert Ballard, ritengono che le visite umane al relitto stiano accelerando il processo di degrado.Il batterio Halomonas titanicae, così chiamato in quanto scoperto in questo relitto, sta progressivamente consumando il ferro dello scafo fin dal momento del naufragio, ma a causa del danno aggiunto dai visitatori la National Oceanic and Atmospheric Administration americana stima che « […] lo scafo e la struttura della nave potrebbe collassare sul fondale oceanico entro i prossimi 50 anni»(entro 80-100 anni secondo altre stime).

Il libro di Ballard Return to Titanic, pubblicato dalla National Geographic Society, include fotografie che evidenziano il degrado del ponte superiore causato dal posarsi dei batiscafi.

Alternativamente, vi è la concreta possibilità che la fine del relitto non sia quella di essere ridotto in ruggine, bensì di essere sepolto. Nel 2012 una spedizione organizzata dalla National Geographic Society ha rilevato un imponente sistema di dune sabbiose, più elevate del relitto stesso, che stanno muovendosi lungo il fondale in direzione nord-ovest verso sud-ovest e che nel giro di un trentennio potrebbero ricoprire totalmente il relitto, creando un ambiente anaerobico e nascosto, che preserverebbe lo scafo dalla corrosione batterica ma impedirebbe di vederlo, rendendo di fatto inutile qualsiasi altra missione scientifica.