Nei sotterranei della Camelot c’è un autentico tesoro

GALLARATE Eccola qui la sala operatoria. Ed ecco anche il presepe e il laboratorio di analisi. 3SG ha aperto le sue cantine ai cronisti che, oltre alle strumentazioni acquistate e mai utilizzate, hanno trovato anche materiale di propaganda elettorale del Popolo della libertà.I gallaratesi ricorderanno senz’altro le mostre che il Pdl allestiva per illustrare alla cittadinanza i risultati raggiunti dall’amministrazione di Nicola Mucci. Ecco, dopo essere stati abbandonati ai «Figli del lavoro», i pannelli ora si trovano nei sotterranei dell’azienda di via Padre Lega. E viene da chiedersi cosa ci facciano qui.È vero che il direttore generale Manila Leoni è stata segretario del Pdl di Turbigo, ma 3SG è un’azienda pubblica. E, come tale, è di proprietà di tutti i gallaratesi, non solo di quelli iscritti al Popolo della libertà. Quest’ultimo aspetto, e le polemiche che inevitabilmente innescherà, sono però solo l’ultima “sorpresa” offerta dai sotterranei della società che gestisce la «Camelot».Qui sono custodite le statuine del presepe che, ogni anno l’8 dicembre, viene allestito all’ingresso della struttura. Si tratta di sculture in terracotta realizzate dall’artista palermitana Angela Tripi. Per acquistarlo, così spiega Leoni, «l’azienda spese 30 mila euro». Non si tratta, però, delle uniche opere d’arte presenti in via Padre

Lega.Sono tanti, infatti, gli oggetti d’arte che si incontrano nei corridoi. Frutto in massima parte di donazioni, rappresentano però un patrimonio, tanto che il presidente Enrico Moresi ha già deciso di far valutare ogni singolo pezzo. E chissà che non si decida di venderne qualcuno per fare cassa.Già ceduto, un paio di anni fa, l’ormai famoso trattorino spazzaneve, oggi sostituito da un apparecchio di dimensioni più ridotte, costato poco meno di 2 mila euro. Mentre rimangono ancora, accatastati in una sala del primo piano, i macchinari che avrebbero dovuto far parte del laboratorio di analisi.Dietro una porta con l’insegna che avverte del pericolo di radiazioni, nella sala che avrebbe dovuto ospitare un intensificatore di brillanza, apparecchio a raggi X sul quale campeggia un cartello con la scritta «fuori uso», sono ammucchiati i macchinari, pagati 200mila euro, comprati per allestire per un laboratorio mai decollato.La sala operatoria, invece, divisa in due da un armadio di ferro, è diventata in parte un ufficio, in parte un deposito di bombole di ossigeno. Ma al soffitto è ancora appesa la lampada tipicamente usata in chirurgia. Del resto, gli elementi sui quali far luce all’interno della struttura, come emerso in questi giorni, non mancano affatto.Riccardo Saporiti

e.romano

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