New York, 24 mar. (TMNews) – Le telefonate al dipartimento di Stato arrivano “quasi tutti i giorni”. All’altro capo c’è una figura chiave del regime di Tripoli: Abdullah Sanussi, capo dell’intelligence militare libica e soprattutto cognato e confidente di Muammar Gheddafi. Fonti diplomatiche hanno rivelato alla CNN che a chiamare è anche un altro alto papavero, il ministro degli Esteri Musa Kusa. Quest’ultimo di solito chiama l’assistente segretario di Stato Jeffrey Feltman, che tiene a far sapere di non telefonare mai lui, ma di rispondere ogni volta che Kusa chiama.
Retroscena che descrivono uno scenario secondo il quale, sotto le bombe della coalizione, c’è chi comincia a cercare una pace separata: ma fa anche sapere che il colonnello non vuole mollare, anzi. “Gheddafi ha puntato il tutto per tutto”, secondo una fonte dell’intelligence Usa, “non ci sono indicazioni che voglia lasciare il paese”.
Kusa era, prima dell’inizio dei bombardamenti, considerato un buon candidato alla defezione dal regime. Laureato negli Stati Uniti, ottimo inglese, uomo elegante, Kusa era sospettato di aver messo più volte mano nei crimini della dittatura, ma parlava spesso con gli americani durante le prime fasi della rivolta a febbraio. E dunque era l’interlocutore principale. Può darsi che ci sia lui dietro un altro tentativo di contatto con l’esterno, attraverso le capitali arabe cui
sono arrivate telefonate dal circolo più stretto del colonnello. I governi in questione hanno prontamente informato Washington. Da dove la somma di quello che si sa finora su questi contatti l’ha fatta il segretario di Stato in persona: “Chi sta intorno a Gheddafi chiama in tutto il mondo, in Africa, in Medio Oriente, in Nordamerica e altrove, e chiede: Cosa facciamo? Come ne veniamo fuori? Cosa succederà adesso?” ha detto Hillary Clinton.
Un mese fa, all’inizio della crisi, un esule libico a Londra aveva detto di aver saputo da Tripoli che Gheddafi era pronto a scappare nello Zimbabwe e che anzi teneva pronto alla bisogna un aereo zeppo di denaro e lingotti. Ma tutto questo succedeva prima che l’istituzione della no-fly zone rendesse l’idea di una fuga via aerea del tutto impossibile. Adesso, con centinaia di chilometri di deserto tra loro e la sicurezza relativa dell’esilio, le cose per i gerarchi di Tripoli sono molto più complicate.
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