La manovra tra sarcasmo e serietà

Raffaele Bonanni, leader della Cisl, ha criticato la manovra di Monti dicendo che sembra fatta da suo zio che di economia non capisce niente. Si tratta di una situazione con significative analogie con quella vissuta in un albergo francese da una signora delle nostre parti che, caduta in una piscina, stava per annegare. Un bagnante, vedendola in difficoltà, accorse in suo aiuto e, appoggiandole le mani sul petto, le fece raggiungere la scaletta. Un signore benpensante, che aveva assistito alla scena, apostrofò il soccorritore accusandolo di atti osceni in luogo pubblico.

Enrico Maranzana
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La dichiarazione di Bonanni, come tante altre di questi giorni, ha il mediocre timbro del populismo. Il populismo mira ad accattivarsi il favore dei più attraverso esternazioni di facile presa. Le si definisce anche demagogiche, cioè dichiarazioni da trascinatori delle folle. Dei trascinatori c’è sempre da diffidare, perché assieme alle parole trascinano con sé carri d’inesplorate sorprese. Non sempre piacevoli, come la storia insegna (e piacevoli è un eufemismo). Ora, che la manovra di Monti potesse essere diversa e meno dura verso il ceto medio-basso è vero, e non bisogna neppure essere uno zio per capirlo. Ma che non potesse che iniziarsi da dove s’è iniziata, per dare ai mercati le risposte che si attendevano (le attendevano specialmente sulle pensioni) è altrettanto vero. Questo dettaglio può sfuggire al cittadino comune, che non ha l’obbligo di conoscere ogni piega della politica e dell’economia. Non può sfuggire all’esperto sindacalista, che da anni è a conoscenza del devastante debito pubblico italiano, del mancato riformismo per sanarlo, e delle resistenze corporative alla modernizzazione del Paese. Irridere a un governo messo lì non per sua scelta, ma per disperazione collettiva della classe politica, a salvare un Paese arrivato sull’orlo della catastrofe, non fa ridere nessuno. Le obiezioni a Monti si fanno scalando la cima della serietà invece che quella del sarcasmo.

Max Lodi

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