I nostri figli e l’età giusta per l’affetto

Tanti i commenti critici alla notizia di una mamma di due gemelli a 58 anni e di un padre di 72. Con qualche mosca bianca, magari interessata per una maternità avanzata o per eccessivo zelo relativista. Consideriamo, però, che quel padre pensionato ora sa come ammazzare il tempo, sicuramente eccessivo, mentre la madre, ancora in servizio, probabilmente ha modo di non tornare a lavorare, prima del

pensionamento. I medici hanno letto la felicità negli occhi dei neo genitori? Non c’è da meravigliarsi! Non si torna bambini con la vecchiaia? E se i bambini riescono a ottenere un nuovo giocattolo, a lungo agognato, non sono felici? Ma i giocattoli servono per giocare e se si rompono, pazienza. Ma domani quei poveri bambini non avranno neppure fratelli maggiori che possano occuparsi di loro.

Mario Grosso
Gallarate

I bambini chiedono affetto, e non c’è età che ne condizioni il dono. Anzi, spesso è nell’età tarda o terza che se ne regala di più: aiutano nella prodigalità il tempo passato, il tempo disponibile, il tempo di vivere il presente senza considerarlo una parentesi verso il futuro. Lo dimostrano ogni giorno i nonni-genitori, costretti al ruolo dalle imposizoni d’una vita ad alta velocità, dagl’impegni di lavoro dei  figli, dall’emergenza economica eccetera.
Poi, dopo una prima e forzata investitura, non più costretti al ruolo: adeguati al ruolo. Vi si adeguano anche i bambini, che sanno cogliere nella fragilità dell’anziano una forza per se stessi. Per la crescita di considerazione verso se stessi. Chi può giudicare sulla giustezza o no dell’avere figli in anni ormai avanzati? Chi può stabilire se sia peggio correre il rischio d’un anticipato distacco dalle figure paterna e materna che correre quello di non godere della continua presenza dei genitori accanto a sé? Di fronte a storie come questa forse l’unica cosa da fare è accettarne il verificarsi. E chiedersi se magari non c’insegnano un po’, almeno e soltanto un po’, a proposito di saggia tenerezza.

Max Lodi

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