Calcio, il Varese da 2-0 a 2-2 L’ha data per vinta troppo presto

VARESE Partiamo dal fondo, quello toccato da Dos Santos, che bacia la maglia del Bari in faccia ai suoi ex tifosi. È una sberla che fa male, ma a lui, capace di dimenticarsi la città e la squadra che lo hanno adottato e fatto diventare un giocatore. La sberla che fa male a noi, invece, è questo pareggio che suona come una sconfitta. Perché non può e non deve bastare un cambio (sbagliato, ma col senno del poi è facile) per trasformare il giorno nel buio, e beccare due gol sul traguardo quando fino a quel momento non avevi subito nemmeno un tiro.

Il cambio è quello di Troest per Fiamozzi, che stava andando alla grande: da quel momento, è come avere giocato in dieci contro undici. Un giocatore del peso e del curriculum del danese, riscattato a peso d’oro dal Genoa, non può farsi anticipare su palla bassa da chi sarà alto un metro e novanta (Borghese). Un autogol clamoroso. Come il primo del Bari: Carrozzieri non salta, forse è fuori posizione, tutti fermi. Non esiste. Come, ancora meno, non esiste il 2-2 preso così. Ma il Varese era come se avesse già staccato la spina e fosse già negli spogliatoi a festeggiare. Inspiegabile, anche perché questa squadra aveva sempre finito in crescendo, invece questa volta in crescendo hanno finito gli altri.

Visto quello che aveva fatto il Bari fin lì, e soprattutto quello che aveva fatto il Varese, a un certo punto straripante fisicamente e mentalmente (c’era una squadra sola in campo), verrebbe da dire che il pareggio è ingiusto. E invece, no: è giustissimo. Perché in serie B vincono le squadre che ci credono fino alla fine, e perdono quelle che alzano la testa dal manubrio credendo di aver vinto prima del traguardo. I nomi e i contratti non contano, conta la fame e i pugliesi, evidentemente, ne avevano di più.

Ci si mette anche l’arbitro che fischia a caso, nega un rigore e mezzo, forse regala l’angolo da cui nasce il 2-1 ospite, ammonisce a senso unico (sbagliato): ma solo i perdenti si attaccano a queste cose. La verità è che per 80 minuti e più il Varese e Castori erano stati perfetti: prima erano spuntate le corna di Giulio (averne, di problemi così: gli avversari non sanno che pesci pigliare), poi era uscita la solita freccia (nera) di Kone. E senza la luce di Neto, avevamo preso un palo (indovinate chi) e l’allenatore biancorosso stava portando avanti il suo capolavoro. Tattico e tecnico, ma soprattutto motivazionale: il Varese aveva affrontato il Bari nell’unico modo in cui doveva farlo, cioè spalando fango, facendo a sportellate, sapendo che prima o poi sarebbe arrivata la giocata giusta. Nessuna bollicina, solo pane e salame. Ma ci si alza dal tavolo, solo dopo il caffè.

Restano uno schiaffo e una carezza. Lo schiaffo di chi, troppo ligio nell’applicazione di leggi e regole, costringe la gente a marce forzate per raggiungere lo stadio, perché parcheggi e strade immensi restano deserti temendo i fantasmi. La carezza è di quel tifoso che si è appostato in via Montello, sul tornante da cui si vedeva gran parte del campo: e gli è sembrato di vedere il solito cappellino sulla pelata dell’omino in panchina. Come quarant’anni fa, come oggi e come domani.

Andrea Confalonieri

s.affolti

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