Varese, guardati dentro e rialzati Lo impone la tua storia

Varese – Può succedere, e sta succedendo. Il Varese vive un momento involutivo e le due sconfitte di fila con Verona e Cesena lo attestano; più che essere preoccupati per i numeri – sarebbe folle, vista la comunque bella classifica -, sono altre le storture che attirano l’occhio dell’osservatore varesino. Sì, perché per la gente del Varese il “come” è tanto importante quanto il “che cosa”, e gli insulti in campo a Cesena piuttosto che il feeling che stenta a decollare tra squadra e ambiente sono spie che lampeggiano con più insistenza rispetto agli zero punti messi insieme nelle ultime due gare.

Castori è un signor allenatore, votato a buon senso e olio di gomito: uno così è fatto per allenare il Varese. Al di là degli errori tecnici commessi (o che commetterà), la truppa non è certo allo bando (anche se ad altre latitudini due ko di fila fanno crisi). Ma il punto è proprio che da un’involuzione del genere non ci sembra si possa uscire con il cambio di modulo o con Pucino in mezzo alla difesa: serve molto di più riappropriarsi di chi si è, della propria recente storia, di tutte le conoscenze e gli atteggiamenti che hanno spinto il Varese fin qui.

A mo’ di esempio, ricordiamo che nei momenti topici le soluzioni non sono mai state le diagonali o le marcature sui calci piazzati. Queste venivano di conseguenza. Quando nel 2007 il traballante Varese di Mangia doveva salvarsi in C2 a Valenza all’ultima, era lo squalificato Lepore (ahilui e quell’espulsione contro il Legnano) ad andare a sedersi tra i tifosi per chiamare uno ad uno i gol dei suoi compagni. Quando due anni dopo il Varese di Sannino doveva andare a giocarsi il primato ad Alessandria,

su un campo aizzato in settimana (ricordate la cena intitolata “MangiamoC1 il Varese”?), erano i gesti come le chiacchiere portate alla squadra dalla dottoressa Morandi (“Mangiamoci il bla bla dell’Alessandria”) a mantenere tutto sotto il livello di guardia. Quando il Varese, finalmente in B, perse a Frosinone facendo balenare l’idea di una crisi tecnica, poi batté la capolista Novara 3-1 sotto il diluvio: fu la capacità del pubblico di restare lì, fradicio, stretto alla squadra, e di tornare il giorno dopo per il secondo tempo.

Buttiamo lì qualche idea, perché abbiamo visto che le grandi stagioni si riconoscono dai dettagli. E allora, visto che è sempre successo, vorremmo vedere tutta la prima squadra fermarsi sul campetto in sintetico a giocare coi bimbi della scuola calcio guidata da Caccianiga. Oppure, vorremmo mister Castori che a fine partita va col ds Milanese (l’ha promesso) ad affettare il salame dal Dante del bar Goalasso. E, restiamo in tema, sarebbe bello che il Dante organizzasse una delle sue grigliate per tutta la truppa. È vero che molto è cambiato, in fatto di uomini, in questa storia; ma forse neanche tanto, se chi è rimasto si fa portavoce del poco o molto che ha reso il Varese un posto a suo modo speciale.

Ce lo insegnano gli uomini che hanno avuto un ruolo nella storia del Varese. Primo fra tutti Peo Maroso, che del club biancorosso è la storia: ha sempre avuto dalla sua la saggezza della semplicità, quel non essere mai sopra le righe perché non ne vale la pena, l’essere convinti che è sempre meglio essere undici contro undici. Ma anche uomini più nascosti, come lo storico cappellano don Marco o il prof. Speroni: per loro, nella ritualità di una preghiera o nell’organizzazione dei raccattapalle non c’era mai nulla di banale. Anzi.
Luca Ielmini

p.rossetti

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