VARESE – C’è una strana atmosfera attorno a Varese-Verona di stasera. La sensazione, manco troppo latente, è che l’ambiente giudichi gli scaligeri l’osso più duro del lotto. E a poco servono i proclami di chi inneggia al «meglio ora e subito che dopo».
È una sensazione che hanno suggerito per primi i tifosi quando, di ritorno dal Bentegodi dieci giorni fa dopo il secco 3-0 beccato alla penultima, hanno confessato di aver avuto la certezza che per la A serve qualcosa in più.
Di fronte ai ventimila del Bentegodi, che cosa può mai mettere sul piatto della bilancia il provinciale Varese? Non eludiamo e rispondiamo: nulla. Quella bilancia pende verso il gialloblu, la gente biancorossa ha ragione. Ma la bilancia conosce solo il linguaggio delle quantità, mentre in una semifinale playoff c’è sotto molto di più.
Anche se siamo lontani dal Franco Ossola, chiudiamo gli occhi e facciamoci guidare dai suoni, dagli odori e da tutto ciò che ha accompagnato negli anni i nostri sabati e le domeniche pomeriggio da quelle parti. Ci sembra di sentire l’imperterrito vecchietto che dai distinti urla del “pantelun!” a Crocetti che si è appena mangiato un gol. In lontananza, coi sempre pochi watt delle casse che non riescono ad arginarne l’esuberanza, sentiamo la voce dell’Adriano che annuncia l’ennesimo gol biancorosso di Del Sante. Avvertiamo il freddo gelido che penetra nel giubbotto via Sacro Monte, senza che ciò ci impedisca di voltarci verso nord per godere di quello splendore abbarbicato a sentinella della città.
Questo è il Varese che abbiamo imparato a conoscere vivendo i suoi luoghi e frequentando la sua gente: un ambiente in cui si è imparato a lasciarsi sorprendere dai piccoli gesti e dalle piccole conquiste. Non esistono problemi insormontabili, perché ci sono solo imprese semplici. Mettere una bandiera biancorossa alla finestra, cercare un bar in cui vedere la partita, portare allo stadio anche solo venti persone in più: è come riempire il Bentegodi.
Luca Ielmini
a.confalonieri
© riproduzione riservata