Dunque a Milano, dove era nato l’esperimento politico definito più interessante degli ultimi anni, siamo già alla rottura del giocattolo. L’assessore Boeri ha scritto al sindaco Pisapia una lettera di dimissioni, pronto a lasciare le deleghe a cultura, moda, design ed Expo per divergenze con lui. È la conferma che le contrapposizioni interne alle formazioni governative non appartengono a una sola parte politica. Ed è la conferma che neppure le facce nuove scampano a un rituale vecchio. Da dove verrà il rinnovamento che ogni giorno auspichiamo?
Gino Canali
Pisapia è un sindaco consapevole del ruolo di guida forte che deve esercitare il capo d’una giunta comunale e altrettanto consapevole dell’autonomia che dev’essere delegata agli assessori. Il conflitto tra le due consapevolezze sorge quando una scelta di fondo cozza contro la convinzione d’uno dei componenti della giunta. Che la manifesta apertamente, senza che sia stata trovata una sintesi dentro l’esecutivo nell’ambito della normale dialettica tra quanti vi partecipano. A Milano s’è creato un tale conflitto: sul Museo d’arte contemporanea a City life (ma non solo su questo) Boeri ha fatto prevalere le ragioni dell’individualismo a quelle collettive, e Pisapia ha posto pubblicamente una questione di fiducia. Con chiarezza. Anzi: con trasparenza. Analogamente ha risposto Boeri: se mi volete sono così, altrimenti lascio. È vero che da tutto ciò emerge l’antico difetto della nostra politica: sottendere la solidità delle coalizioni alla saldezza dei propri convincimenti. Ma è pur vero che emerge anche la voglia d’uscire dal recinto oscuro dei riservati giochi di potere. Forse non sarà una straordinaria virtù, ma è certo meglio degli ordinari vizi cui siamo abituati. E poi un sindaco che decide di sfidare il partito più forte che lo sostiene (il Pd, cui appartiene l’assessore dissenziente) è un sindaco che forse perderà qualche punto di consenso nella macchina municipale, ma ne ha guadagnati molti nel consenso popolare.
Max Lodi
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