Meglio dissentire che lamentarsi fra silenzi e strilli

Non sempre l’unanimismo è indice di vitalità di un partito. Spesso di irrigidimento, di invecchiamento e di progressivo, anche se lento, declino. Ben venga quindi il dissenso, espresso nelle sedi istituzionali, perché promuove la dialettica sana e produttiva, e rende i rappresentanti nelle istituzioni uomini liberi di esprimere le proprie valutazioni e i propri giudizi, riavvicinandoli al popolo che li ha eletti e al quale dovrebbero sempre far riferimento piuttosto che alle segreterie dei partiti. Un elogio ai consiglieri del Pd e di Varese&Luisa, Andrea Civati e Luigi Ronca, che dissociandosi dai diktat dei rispettivi partiti hanno espresso un voto responsabile e indipendente sulla “vexata quaestio” del megapolo materno – infantile. 

Giovanni Dotti
Dissentire è sentire diversamente. Ma non sempre questa è l’accezione prevalente. Il dissentire è considerato un’incoerenza, una viltà, perfino un tradimento. Dissentire è affidarsi alla propria coscienza, darle ascolto, avere il coraggio di trasformare un’idea in un comportamento. Staremmo assai meglio, se fossimo un popolo di dichiarati dissenzienti. Invece lo siamo di silenziosi brontoloni. Poi quando la pentola è piena salta il coperchio. E talvolta facendo danni, com’è stato il caso delle recenti elezioni politiche. Il malcontento ha dato luogo alla protesta, la protesta al voto di radicale obiezione, la radicale obiezione a una scelta di rappresentanti che ora sembrano inadeguati a prender le parti dei rappresentati. Soprattutto a prendersi le responsabilità che inevitabilmente gli toccano. Ecco, le responsabilità sì che sono qualcosa da cui non si può (non si deve) dissentire.

Max Lodi

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